Lo show dei primi ballerini
La Scala per la Giornata mondiale della Danza
Tutto nella vita può trasformarsi in un’opportunità. Dipende da noi. La notizia della clausura mi raggiunge in Francia. Sono alle prese con un’opera barocca di Haendel. Riusciamo ad andare in scena, è una prima surreale: tutti sappiamo che sarà anche l’ultima. Carica di spavento, riparto. Ho mia madre a cui pensare, non posso lasciarla sola. È venerdì 13 di un anno bisestile, sono nel pieno di una pandemia, non so se mi faranno rientrare a casa ed è il mio compleanno. Affronto un numero infinito di ore di treno e diverse perquisizioni della polizia. Alla fine riesco nell’impresa, torno a casa e comincio la mia quarantena. Sono stanchissima, arrivo da un anno di lavoro incessante e stressante.
Finalmente posso riposare. I miei amici scherzano: «Per fermarti, Sere, ci voleva il coronavirus!». In effetti un po’ è vero. Ma io sono fatta così, sogli no un essere sociale, amo il teatro perché mi permette di vincere la solitudine cosmica che mi brucia l’anima. Come farò? Decido di provare una strategia: farò quello che non faccio mai. Io non cucino mai, non riordino mai, non pulisco mai. Sono un manuale vivente di anti-economia domestica. I giorni passano, mangio male, riordino con tempi biblici armadi e mobili, pulisco e più pulisco più c’è da pulire, ma la strategia funziona, la scoperta di una nuova possibile quotidianità mi fa sentire meglio. A giorni alterni dirigo una classe virtuale di fitness aperta a famigliari e amici. Tappetino, videochat e si parte. Al mattino leggo il giornale, alla sera vedo film o serie o gioco a Trivial su Skype. Per il resto studio, lavoro, immagino possibili scenari futuri, sogno a occhi aperti.
Con i miei compagni di Atir stiamo pensando a un progetto di teatro in piazza per l’estate, teniamo a bada un bilancio che ovviamente rischia un passivo decisivo, progettiamo spettacoli futuri, ci divertiamo a giocare da neofiti coi nuovi linguaggi social, partecipiamo al dibattito sulle gestione della crisi del settore, ma soprattutto sulla trasformazione più importante, quella che deve seguire questo momento di tragica contingenza. Il settore andava riformato da tempo. Chi sa mai che fosse la volta buona? Non solo. È evidente che tutto il nostro sistema di vita non funziona. Crediamo di sapere e potere tutto e invece un piccolo virus ci manda in tilt.
Se quanto ci accade fosse l’occasione per rimodulare e trasformare in meglio le nostre cattive abitudini, tanta sofferenza non sarebbe stata invano. Non è una guerra, è una battuta d’arresto di un modello economico suicida. Un modello dove sanità, istruzione e cultura sono all’ultimo posto delle agende, tranne che per il profitto che di volta in volta se ne può trarre. Il problema, però, che si insinua inesorabilmente con lo scorrere del tempo è che già dopo le prime due settimane comincio a essere intasata di riunioni e impegni virtuali. Tutto naturalmente a gratis. Nooooooooo!!! Il sistema si sta adattando alla nuova condizione e adesso viene a tiranneggiarci in casa. E poi, la fretta di risolvere l’emergenza per tornare a come era prima
Attitudini
Io non cucino mai, non pulisco mai. Sono un manuale vivente di antieconomia domestica
mi fa stare malissimo, io non voglio tornare a com’era prima! Com’era prima non andava mica bene! Per colpa di com’era prima siamo in questa situazione. Possibile che non si possa trasformare questa incresciosa vicenda in una opportunità di necessario e salutare cambiamento?
(testo raccolto da Claudia Cannella)