«Pandemia, vi spiego il mio piano del 2009»
Errori nelle domande
Luigi Macchi, numero due della Sanità lombarda quando la Regione era governata da Roberto Formigoni e direttore generale del Policlinico tra il 2010 e il 2015, ha contribuito alla stesura dell’ultimo Piano pandemico influenzale, applicato nel 2009 quando lo spauracchio era l’influenza suina. «Questa pandemia non ha nulla a che vedere con quelle. Ha un altro impatto numerico, la si conosce poco. Avrebbe funzionato? Avrebbe potuto essere una traccia da cui partire».
L’hanno chiamata per un consiglio?
«In pochi. D’altra parte sono in pensione. Mi hanno comunque nominato a far parte del Comitato tecnico scientifico della Lombardia». Al telefono risponde Luigi Macchi, numero due della Sanità lombarda al fianco di Carlo Lucchina quando la Regione era governata da Roberto Formigoni e direttore generale del Policlinico tra il 2010 e il 2015. Macchi è anche tra coloro che hanno contribuito — e il suo ruolo non è stato secondario — alla stesura dell’ultimo Piano pandemico influenzale. Il protocollo è stato applicato nel 2009, quando lo spauracchio era l’influenza suina, o meglio l’A/H1N1v. Quel documento vecchio ormai di dieci anni è stato tirato di nuovo in ballo in queste settimane di emergenza coronavirus e c’è chi si chiede perché non sia stato aggiornato e utilizzato per contrastare il Covid-19. «A queste domande non devo rispondere io. Dal 2010 sono andato al Policlinico e ora, appunto, sono in pensione». Però può spiegarci come è nato quel Piano.
«A seguito dell’epidemia di Sars, l’Organizzazione mondiale della sanità ha chiesto a tutti i Paesi di fare un piano per la pandemia. Il governo italiano ha dato alle regioni indicazioni e quasi tutte tra il 2006 e il 2007 hanno costruito questo piano».
Chi ha partecipato alla stesura del documento?
«Era stato concordato con le unità di Malattie infettive, i laboratori di virologia, i medici di medicina generale, le Asl e i dipartimenti di prevenzione. I percorsi di condivisione sono andati avanti per sei mesi. Poi è passato in consiglio regionale e approvato il 2 ottobre 2006».
È tornato utile?
«Con la comparsa dell’aviaria è stato accelerato il lavoro, poi è stato sperimentato per l’A/H1N1v, la cosiddetta suina. Era il 25 aprile 2009 quando ho avuto notizia dei primi casi. Da lì abbiamo cominciato a verificare quelle azioni, tornate utili poi nell’estate/ autunno 2009 con i primi pazienti in Italia».
Quali erano i punti forti del piano?
«Rispondeva alle fasi stabilite dall’Oms e definiva chiaramente responsabilità, azioni e tempi in cui applicarle». Ha funzionato nel 2009? «A mio parere con l’A/ H1N1v è stato utile. Ci ha permesso di applicare azioni e verificare se funzionassero e siamo riusciti a coinvolgere tutti gli attori. Ma c’era stato un buon tempo di preparazione e ho avuto la fortuna di lavorare con tante persone che mi hanno aiutato».
In un altro documento del 2010, però, una tabella riporta una serie di interventi di quel piano non applicati, come l’accordo quadro con le residenze sanitarie assistenziali.
«Nel 2010 abbiamo evidenziato le cose che non era stato necessario attivare, per esempio la chiusura delle scuole, perché non erano servite, non per inefficienza. Anche perché l’incidenza è stata contenuta grazie anche alla disponibilità di antivirali e vaccino. Si è comunque voluto evidenziare in modo trasparente le azioni non attuate poiché ripeto non necessarie». Torniamo a oggi. Quel piano sarebbe stato adatto a contrastare l’epidemia di Covid-19?
«Questa pandemia non ha nulla a che vedere con quelle. È un’altra patologia, ha un altro impatto numerico, la si conosce poco. Avrebbe funzionato? Non lo so, avrebbe potuto essere una traccia da cui partire».
A suo parere sono stati fatti degli errori?
«Secondo me, ci sono stati ritardi generali, forse a partire dall’Oms. Nel 2009 era scattata subito l’allerta, ora forse un po’ dopo. E da qui si è innescata una serie di ritardi».
L’impatto L’incidenza della suina era stata contenuta grazie anche ad antivirali e vaccino
La risposta All’epoca era scattata subito l’allerta, ora forse dopo Da qui una serie di ritardi