Lo smart working piace a un lavoratore su due «Si sente meno lo stress»
Un lavoratore su due «promuove» lo smart working, perché si sente più efficiente e meno stressato. La quasi totalità, poi, lo sceglierebbe anche per la fase post-Covid, nonostante un dipendente su tre viva una condizione non ottimale, specie per le difficoltà di conciliazione con la vita familiare. È la fotografia che emerge dai risultati di una consultazione pubblica sullo smart working lanciata da Regione Lombardia e curata da Aria, l’azienda regionale per la trasformazione digitale.
Al sondaggio, nato per conoscere le esperienze e guidare l’utilizzo di questa modalità anche nel periodo post pandemia, hanno risposto 6.500 lavoratori, tra cui 2 mila dipendenti regionali e una bassa percentuale di imprenditori (10%). Tra i partecipanti, il 55 per cento lavora nel pubblico e il 45 per cento nel privato. Fra questi, il 43% già lavorava spesso o saltuariamente in smart working, solo il 15% nel pubblico. I pendolari sono poco meno della metà (42 per cento).
I risultati mostrano una maggiore soddisfazione e produttività tra i lavoratori, cosa non scontata, specie in questo momento di chiusura delle scuole, che vede le famiglie alle prese con la gestione dei figli e, in molti casi, anche con la condivisione degli strumenti informatici (per le videolezioni e il lavoro).
Tra chi aveva già provato il lavoro agile, il 51 per cento si sente più produttivo e circa il 50 lo valuta migliore di quello tradizionale. Tra i neofiti, invece, il 57% si dichiara meno o ugualmente produttivo (così anche il 34 per cento de gli imprenditori alla prima esperienza); ma 6 su 10 si sentono più soddisfatti e nel 94% dei casi vorrebbero proseguire il lavoro da remoto.
Guardando alle mansioni, nelle aziende che già lo praticavano, lo smart working è più apprezzato, per percezione della produttività, da manager, quadri e collaboratori. Nelle imprese che lo hanno attivato nella pandemia, invece, da impiegati e tecnici. Lavorando da casa si beneficia in termini di stress: lo dice una risposta su due e lo ribadiscono anche le donne, ma la percentuale diminuisce al 39% in caso di più di un figlio al di sotto dei 15 anni. Tante le luci, insomma. Le ombre sono tecnologia e organizzazione: un lavoratore su tre ha affrontato problemi di connessione. Il 43% dei lavoratori del privato e il 33% del pubblico fatica a separare lavoro e tempo libero e a relazionarsi fra colleghi (22 per cento).
«La richiesta che emerge è un cambiamento di concezione del lavoro: il lavoro agile non è telelavoro» spiegano da Aria. Non significa collegarsi alla rete aziendale dalle 9 alle 18 e fare pausa pranzo in cucina. Vuol dire lavorare per obiettivi (verificabili, con tempi prestabiliti) e non per orari, con maggiore responsabilizzazione del dipendente e più coordinazione fra management e colleghi.
«Lavorare così è quello che fanno le comunità, le imprese e le scuole più avanzate. La consultazione ha fatto emergere un bisogno non espresso — rileva Fabrizio Sala, vicepresidente della Regione —. Il prossimo passo è legiferare in materia, per regolare e sostenere il lavoro agile. In Lombardia ora è aperto l’80% delle attività produttive e a Milano abbiamo un terzo dei lavoratori in smart working. Per questo non c’è intasamento sul trasporto pubblico. Una diminuzione del traffico e migliori condizioni di vita di cui tutti beneficiamo. In futuro si potrebbe immaginare un sistema coordinato, una “smart region”, in cui istituzioni e attività produttive collaborano nel regolare la mobilità». Il lavoro agile «ha spinto le imprese ad approcciarsi a qualcosa che prima non avrebbero mai considerato. E la Regione le ha sostenute stanziando 4,5 milioni di euro per la formazione del personale e l’acquisto di dispositivi».