Fuorisalone, Ventura addio Finisce un’era per il design
Chiude la realtà che ha rilanciato Lambrate e Centrale «Gravi difficoltà sui conti, impossibile pensare al 2021» I distretti: svolta virtuale e nuovi orizzonti, siamo vivi
Margriet Vollenberg è seduta su uno sgabello, tra i pc spenti, vicino alla presa per caricare il telefono che da ore non smette più di suonare. Da qui, dalla sede di Utrecht della sua società «Organisation in design» ha seguito l’emergenza Covid che ha portato prima al rinvio del Salone, poi al suo annullamento, e con lui al tracollo degli eventi nei distretti in città. Lei dall’Olanda, Fulvia Ramogida da Milano, per dieci anni coprotagoniste del successo di «zona Lambrate» e della rinascita dei magazzini raccordati della Centrale con il progetto «Ventura», da ieri ufficialmente tramontato, senza unità di intenti sulla gestione della crisi. Ragioni economiche e organizzative dietro alla decisione dell’imprenditrice olandese, che ha telefonato a tutti i 127 espositori per annunciare la «fine di un’era» prima di scrivere un comunicato di addio a firma unica, con contributi evocativi di designer importanti passati da Ventura, come Maarten Baas e Luca Nichetto per ricordare quello che per molti è stato un «decennio irripetibile» per la città di Milano.
«È cambiato il mondo all’improvviso — spiega Vollenberg al Corriere— e ho capito che le risposte che stavamo immaginando non sarebbero state più quelle giuste. Bisognava voltare pagina e ricominciare da zero. A livello finanziario la situazione era difficile, senza entrate, impossibile pensare al 2021. Solo alcuni espositori avevano già pagato tutto, altri solo metà, altri nulla: ora andrà tutto definito, anche se abbiamo comunque lavorato da settembre a marzo, no va dimenticato. È stata dura lasciare persone con cui hai lavorato per anni, ma Milano e l’Italia restano la mia priorità».
Che i bilanci delle realtà motore del Fuorisalone siano in grave difficoltà non è difficile da immaginare. «Lavoriamo tutto l’anno per quella settimana, perdiamo il 100 per cento del fatturato a fronte di spese vive che restano» spiegano da Milano space makers in via Tortona. Ma resta il fatto che la gran parte degli operatori lavora con entrate e uscite strettamente collegate tra loro e dunque in qualche modo gestibili nel bilancio di un anno. «Ora bisognerà spalmare gli introiti su un orizzonte temporale di tre anni — spiega Paolo Casati dal Brera design district, inevitabile avere flussi minori nel 2021. Serve volontà e pianificazione, ma il modello non è in crisi: il design è vivo e non vede l’ora di rialzare la testa».
Dal Superstudio, la madrina dell’evento, Gisella Borioli, sul sito Fuorisalone.it, rende omaggio all’esperienza: «Sono certa che, insieme o separatamente, Fulvia e Margriet ci stupiranno ancora con le loro operazioni coraggiose, visionarie e originali, in grado di valorizzare aree di Milano trascurate o sconosciute».
Intanto si cercano alternative. Dopo la gaffe della rivista Dezeen che aveva lanciato una fiera online Virtual Milano con un’idea definita da Salone e distretti «sciacallaggio» di «cattivo gusto», il 15 giugno scatterà il vero Fuorisalone Digitale, quello nato dalla collaborazioni tra le varie anime della città. «Il digitale non potrà mai sostituire l’evento fisico — spiega Cristian Confalonieri da Fuorisalone.it — ma ne è un complemento. Ora siamo tutti chiamati ad inventarci qualcosa di diverso e sarebbe meglio farlo uniti».
Ventura era anche parte del Tavolo Interzone, embrione del comitato di coordinamento del Fuorisalone, interlocutore del Comune. E lascerà un vuoto — da riempire — sul fronte del design indipendente. «Se ne va un pezzo del Fuorisalone ma anche di Milano — spiega Andrea Cuman, considerato lo storico dell’evento —. In pochi anni era diventato uno dei centri di gravità (con Brera e Tortona) con il design giovane, divertente e sperimentale».
L’incognita futuro Casati (Brera): «Non è la crisi di un modello Servono investimenti spalmati e volontà»