VOGLIA DI FUTURO MA SENZA RIMOZIONE
Sono passati tre mesi dal primo caso di Codogno ed è come se in questi giorni si confrontassero in Lombardia due «forze», uguali e contrarie: la memoria di quello che è accaduto — sperando ovviamente di esserci lasciati alle spalle la parte più drammatica dell’epidemia — e il desiderio di guardare avanti. Quest’ultimo aspetto ha ricevuto una grande spinta dall’inizio della fase delle riaperture. La voglia di «riprendersi» le città è ovunque: la si vede nello sforzo dei negozianti per rendere accoglienti i locali, nella folla in giro per i parchi, perfino nel traffico o negli aperitivi un po’ sregolati che in questi giorni hanno acceso polemiche. Dopo la lunga clausura, è umano. Insieme a questo desiderio di futuro, c’è quello che è accaduto e che continua ad accadere. I nuovi particolari sull’inizio del contagio, le indagini giudiziarie, le commissioni d’inchiesta, la ricerca delle responsabilità, lo scontro politico; e, ora che è tornato possibile, il ricordo pubblico dei morti. Per fare giusto un esempio di questi due stati d’animo che convivono: l’arcivescovo di Milano Mario Delpini ha scelto di celebrare la prima messa dopo il lockdown a Treviglio in ricordo di 209 vittime di quella città.
Alle quali fino a quel momento non era stato possibile fare il funerale. Distanziati in chiesa, e attraverso un maxi schermo fuori, molti abitanti hanno partecipato commossi. Più o meno nelle stesse ore in tante città esplodeva la questione «movida», assembramenti di ragazzi fuori dai locali, non tutti con la mascherina, non tutti a distanza. L’accostamento non risulti stridente: in questi giorni memoria e voglia di andare oltre si mescolano. È inevitabile, anche giusto. Trovare un equilibrio interroga la politica: il dramma attraversato non deve ipotecare il futuro, ma la voglia di ripartire non può certo trasformarsi in una rimozione di ciò che è successo.