I SEGNALI D’ALLARME AL MONTE DEI PEGNI
«Sono da anni fedele lettore del vostro giornale», scrive Luigino Ferrari, «e negli ultimi tempi osservo l’aumentato numero di pubblicità di case d’asta e di esperti che si offrono di valutare mobili, quadri e gioielli. Sono nel giusto deducendo che questo è un segno dei tempi brutti che stiamo attraversando?». È senz’altro nel giusto, il signor Ferrari, tristemente nel giusto. La chiusura di ristoranti, alberghi, negozi e bar non fanno forse proprio la fortuna di questi soggetti, però di sicuro prospettano loro qualche beneficio economico. Non pochi proprietari di esercizi commerciali si vedono infatti costretti — per pagare gli affitti dei locali, sostenere i dipendenti e mantenere le proprie famiglie — a vendere, qualora ne abbiano la disponibilità, la cosiddetta argenteria di casa, gioielli appunto, oltre a quadri, mobili e oggetti di qualche valore. Ed ecco la ragione della presenza degli annunci pubblicitari: sono la spia di un dramma che coinvolge centinaia di persone. Altra spia, che probabilmente ne coinvolge anche di più, sono gli intensi movimenti segnalati ai Compro oro, quei negozi che sopravvivono a tutte le crisi, dove chi non ce la fa più va a vendere non tanto una famosa «argenteria» che non possiede, quanto gli anelli, le catenine, gli orecchini, le spillette, gli orologi ereditati da mamme e nonne. Minutaglie per le quali — la regola è quella — si prende sempre di meno di quanto si era sperato perché, eccezioni a parte, non contano le pietre, non conta la lavorazione ma soltanto il peso dell’oro. L’ultima e più avvilente delle spie sono le code che si sono viste, fotografate anche sul nostro giornale, davanti a un monte dei pegni milanese (ma code uguali sono apparse altrove). Il fotografo ha avuto la grazia di ritrarre la fila da dietro per cui non si vedono i volti, ma anche così la scena stringe il cuore perché si ha la sensazione che la piega delle schiene — sia giovani sia vecchie, tutte quante stanche — raccontino l’umiliazione di chi, avendo perso il lavoro e perciò senza più nemmeno i soldi per la spesa, è costretto a rivolgersi a quell’indirizzo del quale magari si pensava che fosse soltanto un residuato di romanzo ottocentesco.