Il posto scomparso
La pelota dei baschi di Brera Artisti, curiosi e scommesse nella Montecarlo dei poveri
In una stanza della pensione Solferino, nel cuore di Brera, alla metà degli anni Cinquanta abitavano lo scrittore Luciano Bianciardi e il fotografo Carlo Bavagnoli. Accanto i fotografi Mario Dondero e Ugo Mulas. E, nella stessa pensione, alcuni giocatori di pelota. Se per Bianciardi e amici quell’affittacamere era comodo, perché vicinissimo al loro luogo di ritrovo — il bar Giamaica —, per gli atleti baschi era in una posizione altrettanto fortunata, a pochi passi dal posto di lavoro, lo sferisterio di via Palermo 10, dove si praticava la jai alai (in basco «festa allegra»), una specialità della pelota nella quale si utilizza come «racchetta» una cesta di vimini a punta chiamata chistera.
Inaugurato nel 1947, in sostituzione del vecchio sferisterio ospitato dal Kursaal Diana di viale Piave (attivo dal 1907), nel 1976 il campo da gioco di via Palermo viene rilevato dall’imprenditore Salvatore Laino, che lo rilancia al punto da farlo diventare uno dei maggiori riferimenti internazionali per la pelota (in Italia sarà l’ultimo a chiudere). Laino, aiutato dall’amico Sabino Elizburu, riesce a portare a Milano alcuni dei più forti giocatori baschi dell’epoca. Campioni in grado di scagliare con la chistera una palla di caucciù contro la parete anche a 300 chilometri l’ora, in un campo lungo 55 metri e largo 10. Dopo il rimbalzo, la palla deve essere raccolta al volo dall’avversario che la rilancia, e così via, finché sfugge a uno dei contendenti, che non riesce a prenderla al volo.
«Mi piace il giro armonioso del braccio che fionda la palla, e poi quello schiocco, la fucilata che segue», scriveva nel 1987 sul «Corriere» Carlo Castellaneta, affascinato da questo sport che ha assunto le forme attuali nell’Ottocento, ma che ha come antenati i giochi con la palla delle antiche civiltà mesoamericane.
«La decisione dell’arbitro è inappellabile»: la scritta campeggiava sul muro dello sferisterio milanese, monito fondamentale per un gioco sul quale si scommette. Non si vincevano grandi cifre, ma il gusto della puntata richiamava un pubblico composito, dagli appassionati dell’azzardo, pronti a insinuare sospetti di combine, agli stessi artisti e scrittori del Giamaica, a semplici curiosi. Un’umanità variegata — nei momenti d’oro fino a mille persone a sera — che si muoveva tra le mura scalcinate, la rete a bordo campo un po’ strappata e il baretto decadente. Ancora Castellaneta: «Una Monte Carlo dei poveri, dove c’è odore di cattivo tabacco, l’aria di un cinema di periferia nel quale però si svolge uno spettacolo di forza e destrezza».
Nello sferisterio di via Palermo si era avvolti da un’atmosfera unica, che trasportava in un luogo imprecisato del mondo, e allo stesso tempo nel profondo di Milano, nel brivido della velocità, del coraggio, del rischio.
Oggi la pelota non c’è più. Negli anni Novanta non ha retto la concorrenza della modernità, delle partite in tv, dei gratta e vinci, dall’aperitivo che allunga le dita nella serata. Il 31 maggio 1997, dopo 50 anni, lo sferisterio chiude. Alcuni giocatori si fermano a Milano e aprono la Taberna Vasca sui Navigli. Lo spazio sta per essere trasformato in un garage. Ma, per fortuna, lo sferisterio non viene sventrato per lasciare il posto alle macchine, il suo destino resta sospeso fino al 2001, quando diventa uno spazio polifunzionale per eventi, che mantiene la struttura originale, con allestimenti di pregio: la Milano del futuro. Chiudendo gli occhi, però, in via Palermo forse si può ancora sentire quello schiocco della palla sul muro che emerge dal passato.