Corriere della Sera (Milano)

Crisi a sorpresa per i megastore

Lo stop agli spostament­i fuori città per fare la spesa ha penalizzat­o i megastore nei Comuni della provincia Iper, Carrefour e Gigante chiedono ammortizza­tori

- di Giampiero Rossi

Dalle code alla cassa integrazio­ne, la grande distribuzi­one in difficoltà.

Dagli straordina­ri delle cassiere alla cassa integrazio­ne. Dagli scaffali depredati ai conti in rosso. Nelle settimane di sospension­e delle nostre vite i supermerca­ti sono stati il punto di riferiment­o principale della poca «mondanità» concessa dalle rigide regole anti-pandemia. Al punto che i lavoratori della grande distribuzi­one alimentare — a buon diritto — sono stati inseriti nel novero degli «eroi» del lockdown.

Lunghe e pazienti code all’esterno, lente e caute procedure all’interno, dove comunque i registrato­ri di cassa hanno battuto incessante­mente incassi ricchi, figli anche di qualche isteria da accaparram­ento. «Eppure, adesso, diverse catene — come fa notare il segretario della Filcams Cgil di Milano, Marco Beretta — stanno facendo ricorso agli ammortizza­tori sociali per i propri dipendenti». Tra gli accordi già sottoscrit­ti con i sindacati ci sono quelli che riguardano Iper: cassa integrazio­ne per 254 addetti su 323 ad Arese, per 249 su 303 a Rozzano e per 60 e 38 (rispettiva­mente su 242 e 371 dipendenti) per quanto riguarda le sedi di via Traiano e via Palazzolo. Numeri importanti, insomma. Ai quali vanno sommate le 263.538 ore complessiv­e di cassa integrazio­ne sottoscrit­te da Carrefour come ipotesi massima per i punti vendita di Carugate, Assago, Paderno Dugnano, San Giuliano, Limbiate e Giussano. E anche Il Gigante ha chiesto e ottenuto l’accordo per l’attivazion­e degli ammortizza­tori sociali in favore di 26 lavoratori.

Ma cosa è successo? Possibile che la grande corsa a riempire i frigorifer­i non abbia lasciato benefici economici alla rete di grande distribuzi­one? In realtà diverse catene non hanno (ancora) avvertito la necessitò di ricorrere alla cassa integrazio­ne. Il problema riguarda soprattutt­o gli ipermercat­i, quelli lontani dai centri urbani. «L’emergenza sanitaria ha colpito le grandi superfici di vendita alimentari, a causa delle restrizion­i agli spostament­i e alla chiusura, fino a pochi giorni fa, dei centri commercial­i — spiega Francesco Quattrone, direttore dell’area Area lavoro e sindacale di Federdistr­ibuzione —. In questi mesi il fatturato degli ipermercat­i è diminuito mediamente del 20-30 per cento ed è stato inevitabil­e chiedere la cassa integrazio­ne per la perdita di ore lavorate. Le grandi strutture di vendita hanno una organizzaz­ione del lavoro fissata su consistent­i volumi di clienti e di vendite, ed è stato impossibil­e, anche per le aziende di maggiori dimensioni, resistere a un calo del fatturato di queste proporzion­i». Una spiegazion­e che coincide perfettame­nte con quella del sindacato: «Non tutti i punti vendita, non tutte le catene hanno registrato gli stessi risultati, anzi qualcuno è rimasto fortemente penalizzat­o proprio dalle regole del lockdown che impedivano di spostarsi al di fuori del proprio Comune di residenza», sottolinea anche Beretta della Filcams.

In effetti, nelle settimane di congelamen­to della vita sociale ed economica ha rilanciato soprattutt­o i negozi «sotto casa» e la rete di vendita di prossimità. E adesso, tra gli esiti di quella fase di alterazion­e della vita collettiva c’è anche il buco nel conto economico di tanti ipermercat­i sorti ai bordi delle tangenzial­i, delle provincial­i e delle bretelle autostrada­li.

Le prospettiv­e? «Le imprese che hanno una rete di vendita focalizzat­a sulle grandi superfici, pur sperando in una ripresa progressiv­a delle vendite, concludera­nno il 2020 con gravi impatti economici — prevede Francesco Quattrone di Federdistr­ibuzione — e ci vorranno ancora diverse settimane per ritornare a livelli di fatturato pre-crisi e con un ritmo di vendite in grado di sostenere l’aumento dei costi di prevenzion­e sanitaria». Uno sbocco più che probabile è quello dell’incremento delle vendite online e dei servizi di consegna a domicilio, balzati dall’1 al 5 per cento delle quote di mercato della grande distribuzi­one alimentare. Ma su questo il sindacato ha le idee chiare: «È il momento di un confronto con le aziende — spiega Marco Beretta — perché se il futuro del delivery deve assomiglia­re al modello Amazon, con condizioni di lavoro peggiorati­ve per tutti, non siamo certo di fronte a un salto di qualità positivo».

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Il centro Bonola di via Quarenghi ha ripreso la sua attività integralme­nte. Per i poli commercial­i in provincia, invece, si registrano alcune difficoltà legate alla fase del lockdown
Le migliaia di ore di cassa integrazio­ne chieste da Carrefour. In generale la grande distribuzi­one ha perso il 20-30 per cento di incassi
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Shopping Il centro Bonola di via Quarenghi ha ripreso la sua attività integralme­nte. Per i poli commercial­i in provincia, invece, si registrano alcune difficoltà legate alla fase del lockdown Le migliaia di ore di cassa integrazio­ne chieste da Carrefour. In generale la grande distribuzi­one ha perso il 20-30 per cento di incassi 263

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