Nell’era Covid i giovani ciclisti si allenano all’autodromo
Cremona, i giovani atleti si ritrovano in autodromo In coppia si pedala tenendosi lontani tre metri «Ciascuno ha un box riservato dove cambiarsi»
Allenarsi su argini e strade, come prima dell’emergenza, non è pensabile «C’è il rischio di contravvenire alle disposizioni sanitarie». Da qui l’idea: trasferire gli allenamenti dei giovani ciclisti della squadra Giocainbici di Oglio Po sul circuito motoristico di Cremona. «Gli atleti si cambiano in box separati e in pista si tengono a distanza di 3 metri l’uno dall’altro».
CREMONA La quiete nel bel mezzo della tempesta: per qualche ora al «Cremona Circuit» di San Martino del Lago, in provincia di Cremona, il rombo dei motori si cheta e lascia spazio alla fatica della pedalata. E così il circuito dedicato ad Angelo Bergamonti (centauro morto il 4 aprile 1971 in sella alla sua MV Agusta), dove si è allenato sulla sua quattro ruote in gran segreto pure Mick Schumacher, il figlio di Michael, si «riconverte» al ciclismo.
Non è una decisione definitiva né irreversibile: il circuito viene semplicemente prestato alle due ruote green. «Abbiamo trovato grande disponibilità da parte di Alessandro Canevarolo, gestore del Cremona Circuit, e lo ringraziamo: ha capito al volo ciò che ci serviva». A parlare è Barbara Bodini che, assieme al marito Maurizio Vezzosi, guida la Giocainbici Oglio Po, società giovanile del ciclismo cremonese e mantovano (il nome fa riferimento al comprensorio tra i due fiumi che delimitano il territorio di competenza). Con Barbara e Maurizio ci sono gli allenatori Ivano Geroldi, Giuseppe Bolzoni, Daniele Chiarini ed Elena Bissolati, una delle pistard più forti del panorama femminile italiano e non a caso campionessa europea di Scratch nel 2015. Come è nata questa singolare collaborazione? «Avevamo bisogno di uno spazio ampio ma non dispersivo — spiega Bodini — e soprattutto di un luogo che fosse composto da diversi blocchi, controllabile. Il circuito era perfetto, con la presenza di box, della pista e della tribuna distante dagli atleti, dove fare accomodare accompagnatori o genitori».
Col coronavirus che è ancora qualcosa in più di uno spauracchio, allenarsi su argini e strade, come accadeva prima dell’emergenza, non è pensabile. «Il rischio reale è di contravvenire alle disposizioni sanitarie o di avere poco controllo: tenendo conto che abbiamo atleti anche molto giovani, basta un attimo per perderli di vista. Abbiamo pensato ad un semaforo — spiega Bodini — e creato tre zone. La zona bianca è quella del parcheggio auto e del cancello laterale, dove i ragazzi arrivano accompagnati dai genitori; poi, dopo la misurazione della febbre, possono accedere alla zona gialla solo atleti e tecnici. Ciascuno ha un proprio box riservato, dove è obbligatoria la mascherina e dove ci si può cambiare; solo col successivo passaggio alla zona verde, ossia la pista, si può togliere la mascherina e iniziare l’allenamento».
Le biciclette — portate da ciascun ciclista perché l’eccezionalità del momento non prevede un deposito — vengono sanificate, assieme a casco e scarpe, dopo ogni seduta dall’accompagnatore che attende in zona bianca (generalmente un genitore). Una volta dentro il circuito (3.450 metri) si parte in piccoli gruppi, con un’altra regola sulla distanza da mantenere: 3 metri in coppia e 20 in scia, con il via scaglionato e scandito dai tecnici. Le loro indicazioni producono così gli unici decibel in un luogo abituato al frastuono dei bolidi: una piccola rivoluzione che però — nel segno della collaborazione tra sport diversi — fa comunque rumore.
In strada
«Si corre il rischio di contravvenire alle disposizioni sanitarie sul coronavirus»