Corriere della Sera (Milano)

IL PESO DELLE PAROLE E LA VERITÀ NASCOSTA

- di Vivian Lamarque

Quanta gente fresca di lutti Covid. E come, basta niente, si riaprono le ferite. Basta anche un banale titolo di un banale western del ’72, lo ha trasmesso in questi giorni Rai Movie: «Domani passo a salutare la tua vedova, parola di Epidemia». Titolo mezzo secolo fa solo ottuso e oggi anche stonatamen­te evocativo. È il peso (in stupidità o genialità) delle parole. A volte sono portatrici di luce abbagliant­e. Un conto è dire che un nero è stato soffocato a Minneapoli­s da un poliziotto. Un conto è mettere tutte in fila come in procession­e le ultime parole del poveretto, le ultime dei suoi ultimi 9 minuti di vita, parole che ormai già conosciamo, ma ripetiamol­e ancora una volta: «Amico non ho fatto niente di grave amico ti prego ti prego non riesco a respirare a respirare ti prego amico qualcuno mi aiuti ti prego amico non riesco a respirare ti prego (poi alcune non chiare ) amico non respiro devi solo alzarti non riesco a respirare ti prego il ginocchio sul collo non riesco a respirare m… non posso muovermi mamma mamma non ce la faccio le ginocchia il collo sono finito finito soffoco che male stomaco collo mi fa male tutto un po’ d’acqua qualcosa ti prego ti prego non riesco a respirare agente non mi uccidere ti prego amico non riesco a respirare a respirare sto morendo non riesco a respirare a respirare per favore signore ti prego ti prego non riesco a respirare».

PS. un’altra agonia fa piangere così, quella di Ettore, in Mamma Roma di Pasolini.

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