Mini-focolaio nell’oncologia
Un mini-focolaio a Oncologia di Niguarda. Il contagio sarebbe partito dagli specializzandi, i giovani studenti di Medicina sono stati i primi a ammalarsi. Oggi la bonifica, verranno spostati i pazienti.
Il contagio, per quanto è stato ricostruito fino a questo momento, sarebbe partito dagli specializzandi, giovani studenti di medicina che sono stati i primi ad ammalarsi. Poi la malattia è stata trasmessa ad alcuni medici, infermieri (tra cui una caposala) e operatori socio sanitari. Ecco perché per due giorni, oggi e domani, tutti i pazienti di «oncoematologia» del «Niguarda» saranno spostati e il reparto sarà bonificato. Una misura necessaria per fermare il piccolo, nuovo focolaio di Covid-19 che s’è innescato all’interno dell’ospedale. Al momento la situazione viene gestita con isolamenti, quarantene e spostamenti.
Il monito
Quel che è accaduto al «Niguarda», dicono alcuni medici interpellati dal Corriere, «va oltre la situazione specifica dell’ospedale, che sta prendendo tutte le contromisure necessarie: deve essere invece un monito molto più ampio per tutta la città, perché dimostra che la malattia non è affatto sparita, che la trasmissione si può ancora innescare in tempi rapidi e che quindi non bisogna allentare l’attenzione. Un monito importante anche per i ragazzi, che probabilmente stanno vivendo le prime settimane della Fase 2 con troppa leggerezza».
Test e screening
I contagi sono con certezza recenti, perché non sono emersi attraverso la campagna di test sierologici sul personale fatta qualche settimana fa. La direzione dell’ospedale, una volta scoperto il focolaio in «oncoematologia», ha subito allargato lo screening anche al day hospital e agli ambulatori collegati, ma in questo caso non sono stati trovati casi positivi dunque le attività proseguiranno senza interruzioni.
Il nodo
Durante i mesi più critici dell’emergenza, tra marzo e aprile, tutti gli ospedali lombardi (ad eccezione del «Sacco») sono stati pesantemente investiti dalla pandemia e centinaia di medici e infermieri, oltre ai pazienti, sono stati contagiati. È avvenuto anche perché le direttive del ministero della Salute, recepite dalla Regione, prevedevano di fare esami soltanto sul personale che aveva sintomi, e perché anche medici e infermieri che avevano avuto un contatto diretto e continuativo con un caso positivo (magari in famiglia) secondo le regole dovevano continuare a lavorare fino all’eventuale emersione dei sintomi.
Finita la fase più critica dell’emergenza, ora che non c’è più la preoccupazione di scoprire personale «positivo» e dunque lasciare sguarniti i reparti, è possibile intervenire in maniera più rapida e complessiva su nuovi focolai, come è avvenuto a «Niguarda». «È ovvio però — concludono i medici — che queste situazioni dovranno essere limitate, perché se si moltiplicassero, pur con una preparazione complessiva molto più elevata, sarebbero comunque complicate da gestire».