Navigli, sfrattati gli atelier d’arte Tocca a Laganà
Matteo Laganà: costretto ad andarmene dopo 43 anni
Dopo 43 anni anche il pittore Matteo Laganà, classe 1946, è costretto a lasciare il suo piccolo studio sull'Alzaia Naviglio Grande. Sfrattati uno dopo l’altro gli atelier degli artisti.
Tele e pennelli escono dalla porta per far spazio a spillatrici e bottiglie, forni da pizza a lenta lievitazione, o panini gourmet. È la fotografia dei Navigli che cambiano: da casa degli artisti a brulicante alzaia al servizio della movida. Da via Gorizia a via Valenza, in ogni cortile nascosto, l’arte è costretta a lasciare spazio ad aperitivi e serate. Al civico 4 dell’Alzaia Naviglio Grande, un altro atelier ha chiuso i battenti: nei 20 metri quadrati colorati di Matteo Laganà, classe 1946, colori e tavole a olio su tela della Milano più bella, dipinta omaggiando gli impressionisti ma anche i macchiaioli lombardi, non ci sono più. Un seminterrato un po’ nascosto, un microcosmo al quale si accede attraverso una porticina ed un paio di scalini. «Il mio studio di pittura dopo ben 43 di attività è stato costretto a chiudere i battenti, ciò è dovuto al fatto che la proprietà (noti imprenditori milanesi) ha deciso di non rinnovarmi più il contratto di affitto, alla sua naturale scadenza —racconta Laganà —. In tutti questi anni ho sempre pagato regolarmente e puntualmente l’affitto. Ognuno è libero di gestire gli immobili come meglio crede, ma non c’è stato alcuno scrupolo nel liberarsi di un pittore di 74 anni che ha dato tanto ai Navigli degli artisti».
Pittori, scultori, antiquari: tra la fine degli anni ‘80 e gli inizi del ‘90, tra Naviglio Grande e Naviglio Pavese si contavano più di un centinaio di botteghe ed atelier. Un gran fermento, tra gallerie aperte e cavalletti posizionati lungo i parapetti in cemento. «Oggi gli artisti attivi in questa zona saranno neanche una ventina. Purtroppo la sorte che è toccata a me è toccata anche a decine di artisti che hanno fatto di questo luogo uno dei simboli culturali di Milano — spiega Laganà, che in qualità di presidente del Gruppo Pittori del Naviglio Grande, negli anni, ha radunato qui centinaia di artisti —. Non occorre essere un veggente per capire che tutti questi spazi lasciati liberi si stanno trasformando esclusivamente in pizzerie, birrerie, ed enoteche con buona pace della cultura e dell’arte». L’immagine della Milano più bohemienne si trasforma e diventa quella del divertimento più godereccio, dei fine settimana dello struscio. Dalla Darsena a Ripa di Porta Ticinese, nei cortili segreti colori e scalpelli cedono il posto a bicchieri tintinnanti e mangiarini.
«Ormai questo processo di trasformazione va avanti da anni. La qualità della vita di questa zona è notevolmente calata, lo possono vedere tutti. Il Comitato di zona si batte da anni con volontà ed entusiasmo per cercare di limitare i danni, ma è un’impresa titanica. In tante altre città europee è successo l’esatto contrario: atelier e gallerie hanno aperto riempiendo spazi dismessi, ridisegnato interi quartieri». Tutta questione di equilibri, di accontentare gli uni e gli altri, ma affittare a gestori di locali è più redditizio: «È superfluo precisare che una attività di ristorazione rende molto di più di una artistica e che si può permettere di pagare canoni molto più alti di quelli che un pittore o un artigiano possono sostenere. Un notevole danno per la cultura di questi Navigli che tanto mi stanno a cuore ma che stanno cambiando volto».