Labirinti di società e «ombrello» statale La strategia mafiosa delle scommesse
Il caso Chv. De Raho: «sfruttano» il Covid
Nomi inglesi, sigle, acronimi. Una semplice facciata, conseguenza di scelte linguistiche spesso casuali. Un labirinto che permette di addentrarsi in un fenomeno relativamente recente, quale gli investimenti della mafia nel settore dei giochi e delle scommesse online. Un settore «forziere» dei clan, centrale nel riciclaggio. Non sempre Milano, sul fronte istituzionale, ha la capacità d’arrivare in tempo reale, o quantomeno con un fisiologico (tollerabile) ritardo, sui suoi gravi problemi. E questo lo è. Ascoltando il procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero de Raho, si ha la conferma che la presa di coscienza non possa esser procrastinata. L’inchiesta coordinata dal sostituto procuratore di Palermo Dario Scaletta, condotta dalla Guardia di finanza e germogliata a giugno anche a Milano con pericolose diramazioni, è ancora in itinere. La scoperta di un’altra società intrinseca alle trame di cosa nostra non sarà l’ultima. Come detto, siamo dinanzi e nel mezzo di un labirinto. In continua mutazione. Il «lupo»
Allora, a inizio estate, l’inchiesta aveva scoperto un sistema di connessioni pilotate dal 56enne Paolo Maniscalco, uno che già Totò Riina ebbe a definire il «Lupo», rendendo inutili ulteriori approfondimenti. Il «Lupo» era al centro di un sistema di aziende del gioco controllate e trasformate in «fabbriche» di denaro. Sempre, altrimenti non sarebbe potuto essere, quelle società erano legittimate a operare dopo aver ricevuto le obbligatorie concessioni statali. Prima di proseguire, ascoltiamo il magistrato Scaletta: «Tempo fa, nell’ambito di indagini americane, mi aveva stupito un dato. Ovvero quello per cui i “bancomat” della criminalità organizzata negli Stati Uniti non erano le estorsioni e il traffico di droga, come si potrebbe pensare. Niente di tutto questo: erano le scommesse. Con un aggiornamento: quest’anno la pandemia ha modificato scelte e azioni dei clan. Pensiamo al calo degli introiti illegali derivanti dal pizzo sugli esercizi commerciali, rimasti chiusi a lungo. Pensiamo all’apparente rallentamento della movimentazione di stupefacenti nella scorsa primavera... Dico apparente nella misura in cui non possiamo permetterci di dare mai nulla di scontato». La ristrutturazione Occupiamoci adesso della GProject, sottoposta a sequestro preventivo comprensivo dell’intero patrimonio e del complesso aziendale con provvedimento firmato dal gip Walter Turturici. Il palermitano Vincenzo Fiore, 42enne, soggetto entrato pesantemente nell’inchiesta, arriva a Milano e si interessa «attivamente» all’acquisizione e ai conseguenti lavori di ristrutturazione di due agenzie di raccolta di scommesse «a logo Snai», in via Gallarate 34 e in piazza Gerusalemme 2. Questi punti, osserva il procuratore nazionale antimafia, uno dei primi a percorrere il settore delinquenziale e tracciare di fatto una «via nuova», vedono l’ingresso di giocatori che non lo sono per niente: scommettono, certamente, ma lo fanno per «scambiare» soldi dei clan in un’azione che in superficie risulta normale, innocua. Per quei lavori di ristrutturazione, Fiore si affida alla ditta «Mp pubblicità» di Marco Pilocane, uno a proposito del quale, si legge nelle carte delle indagini, «è stata ampiamente dimostrata la vicinanza alla famiglia mafiosa dei Biondino di Palermo». Gli improponibili
Prima di essere GProject, l’azienda si chiamava Chv Giochi; e nel momento del suo «debutto», la medesima GProject «lavora» in forza di diritti connessi a una concessione rilasciata a una terza società, la Gaming management group. Scambi e movimenti che sovente sono poggiati su prestanome, per schermare i reali titolari e la loro aderenza a cosa nostra; scambi e movimenti che registrano valzer nelle posizioni chiave: le «improvvise» dimissioni dell’amministratore unico, la cessione di una parte considerevole del capitale sociale. Ma ogni passaggio è funzionale al fine ultimo: ottenere le concessioni e gestirle nel tempo a proprio piacimento. Tanto che, come dimostrato dalla Guardia di finanza, risultano acquisizioni di quote nominali senza che vi sia stata in corrispondenza una minima richiesta di finanziamento, e risultano poi evidentissime sproporzioni tra i redditi percepiti e per appunto gli investimenti effettuati. Insomma, donne e uomini tecnicamente improponibili che invece risultano a capo di aziende. Il tema delle concessioni, va da sé, è dirimente, e non può non innescare interrogativi nei colossi che comandano il settore. Quelle pericolose diramazioni milanesi da Palermo sono sotto l’approfondimento dei finanzieri di Milano: non furono (non sono) un errore geografico. Le società fin qui «agganciate» avrebbero già veicolato cellule malate, contagiando altri punti gioco, ora mappati e analizzati.