L’alunna e la prof «Le nostre aule da romanzo»
Diario dalle scuole. Una professoressa e un’alunna delle superiori raccontano le difficoltà di adattamento alla nuova istruzione post Covid, tra insegnamento in presenza nelle classi e didattica a distanza. «Noi docenti dobbiamo combattere le abitudini del passato e la paura del futuro insieme con i ragazzi».
«Ci voleva una pandemia per entrare a scuola alle 9?». Penso tra me e me, quando suona la sveglia. Ci vuole un momento per rendermi conto che questa non è la settimana «in presenza» ma quella della didattica a distanza. Sospiro di sollievo. Passano le ore, scandite non più della campanella ma dal promemoria del calendario sul pc che avvisa dell’inizio di una nuova lezione virtuale. Come catturata dalla luce dello schermo, ascolto le spiegazioni passivamente, fino a quando il professore non si ricorda che esistiamo anche noi distanti, oltre alla metà della classe in presenza.
Arriva il mio turno. Si torna a scuola, finalmente la monotonia è terminata. Ecco la mia possibilità di interagire senza nascondermi dietro alla tecnologia. Mai avrei pensato di odiarla tanto. Entro nel solito edificio, sembra essersi trasformato in un aeroporto: termoscanner, segnaletica adesiva, personale all’ingresso… poi maratona (con mascherina) fino al quarto piano. Mentre salgo con affanno, come
Dante «il dilettoso monte», m’illudo di raggiungere il paradiso scolastico. Ma in classe resto delusa. Prima della pandemia eravamo rimasti in 16 e ci sentivamo privilegiati, ora ci ritroviamo in otto, sempre gli stessi e troppo pochi per riempire il silenzio che opprime l’aula. Perfino i professori sembrano avere nostalgia degli schiamazzi, tanto da cercare di sostituirci con qualche battuta: «Ragazzi, datemi un secondo che mi faccio bello per la telecamera!».
All’intervallo, per quanto sia da apprezzare lo sforzo, la loro presenza ci obbliga a mantenere una certa compostezza, che fino all’anno scorso, eravamo tanto felici di abbandonare con i compagni delle altre sezioni. A contribuire a creare quell’atmosfera da romanzo gotico, ci sono le finestre, sempre spalancate, che congelano le mani e l’entusiasmo; quelle stesse mani che prima di prendere il gesso bisogna igienizzare. Si prova un po’ di invidia per chi da casa si sente al riparo, ma allo stesso tempo ci si sforza di cogliere l’attimo, perché adesso, dopo mesi di letargo mentale, la voglia di mettersi in gioco è smisurata.
Senza accorgersene arriva la fine della settimana, pronti a scendere da quelle scale paradossalmente con più forze del lunedì, con il portone di scuola pronto a trasformarsi in un arco trionfale verso la libertà. Ma ciò che ci aspetta è solo quiete, e quello spiazzo là davanti diventa una steppa arida, incolta, che vorremmo tornare ad animare di risate e drammi adolescenziali.
La distanza La pandemia ha permesso di iniziare le lezioni alle 9, ma è difficile stare attenti senza coinvolgimento