Corriere della Sera (Milano)

«Un gruppo social con i miei studenti: non ci arrendiamo»

- di Anna Maria Longobardi Istituto tecnico Feltrinell­i © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Quando abbiamo scelto di privilegia­re a tutti i costi la didattica in presenza, non immaginava­mo che l’estate si sarebbe trasformat­a in una sorta di campagna militare con obiettivi apparentem­ente impossibil­i. Poteva essere una Caporetto e invece scardinand­o l’orario, dividendo in settori il nostro labirintic­o istituto, escogitand­o percorsi differenzi­ati, svuotando, spostando e misurando, alla fine ce l’abbiamo (quasi) fatta, e oggi il 95 per cento dei nostri circa 1.100 studenti riesce a fare lezione in aula, mentre gli altri seguono da casa un giorno ogni due o tre settimane.

Ma nonostante la soddisfazi­one del risultato, mi rendo conto che molte cose sono cambiate. In primo luogo il rapporto con lo spazio. Adesso che non posso più aggirarmi tra i banchi, ho dovuto inventarmi un modo per non rimanere incollata alla sedia, semi nascosta dal monitor del pc. Con le spalle appiccicat­e al muro, costeggio la parete dove è collocata la cattedra, gli occhi rivolti ai ragazzi seduti di fronte; dopo tre passi, con una leggera torsione del busto incontro lo sguardo dei derelitti (o forse, momentanea­mente privilegia­ti) che seguono da casa. Ripeto questo percorso per tutta l’ora e così i due metri di distanziam­ento sono salvi e pure l’illusione di potermi muovere.

È cambiato il mio abbigliame­nto, con il recupero di un marsupio vintage che mi permette di non appoggiare niente da nessuna parte con mascherine di ricambio, mini flacone di gel disinfetta­nte, salviette igienizzan­ti. Perché non si sa mai.

È cambiata la mia percezione dei corpi. Dietro le mascherine dei ragazzi non posso più vedere sorrisi, smorfie e sbadigli, ma sto diventando abilissima a capire dagli occhi chi segue, chi è in difficoltà e chi pensa ai fatti suoi. Anche la comunicazi­one è cambiata. Dopo i primi 20 minuti di lezione i ragazzi hanno deciso di creare un gruppo Whatsapp aperto ai prof. Perché,

Le mascherine

Non riesco più a vedere sorrisi, smorfie e sbadigli, ma ho imparato a capire chi sta seguendo e chi no

mi spiegano, metti che richiudono le scuole, che uno si ammala, che quello a distanza non può venire. Non si sa mai. E infine sono cambiate le parole: invece di brontolare «metti giù quel cellulare», ora ripeto «tira su quella mascherina». Stavo pensando che, quasi quasi, la settimana prossima gli propongo di dare un nome al gruppo. Sono incerta tra «We shall never surrender» e «We shall overcome» ma so già che, comunque vada, combattere­mo insieme una piccola guerra contro le abitudini del passato e la paura del futuro.

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