«Un gruppo social con i miei studenti: non ci arrendiamo»
Quando abbiamo scelto di privilegiare a tutti i costi la didattica in presenza, non immaginavamo che l’estate si sarebbe trasformata in una sorta di campagna militare con obiettivi apparentemente impossibili. Poteva essere una Caporetto e invece scardinando l’orario, dividendo in settori il nostro labirintico istituto, escogitando percorsi differenziati, svuotando, spostando e misurando, alla fine ce l’abbiamo (quasi) fatta, e oggi il 95 per cento dei nostri circa 1.100 studenti riesce a fare lezione in aula, mentre gli altri seguono da casa un giorno ogni due o tre settimane.
Ma nonostante la soddisfazione del risultato, mi rendo conto che molte cose sono cambiate. In primo luogo il rapporto con lo spazio. Adesso che non posso più aggirarmi tra i banchi, ho dovuto inventarmi un modo per non rimanere incollata alla sedia, semi nascosta dal monitor del pc. Con le spalle appiccicate al muro, costeggio la parete dove è collocata la cattedra, gli occhi rivolti ai ragazzi seduti di fronte; dopo tre passi, con una leggera torsione del busto incontro lo sguardo dei derelitti (o forse, momentaneamente privilegiati) che seguono da casa. Ripeto questo percorso per tutta l’ora e così i due metri di distanziamento sono salvi e pure l’illusione di potermi muovere.
È cambiato il mio abbigliamento, con il recupero di un marsupio vintage che mi permette di non appoggiare niente da nessuna parte con mascherine di ricambio, mini flacone di gel disinfettante, salviette igienizzanti. Perché non si sa mai.
È cambiata la mia percezione dei corpi. Dietro le mascherine dei ragazzi non posso più vedere sorrisi, smorfie e sbadigli, ma sto diventando abilissima a capire dagli occhi chi segue, chi è in difficoltà e chi pensa ai fatti suoi. Anche la comunicazione è cambiata. Dopo i primi 20 minuti di lezione i ragazzi hanno deciso di creare un gruppo Whatsapp aperto ai prof. Perché,
Le mascherine
Non riesco più a vedere sorrisi, smorfie e sbadigli, ma ho imparato a capire chi sta seguendo e chi no
mi spiegano, metti che richiudono le scuole, che uno si ammala, che quello a distanza non può venire. Non si sa mai. E infine sono cambiate le parole: invece di brontolare «metti giù quel cellulare», ora ripeto «tira su quella mascherina». Stavo pensando che, quasi quasi, la settimana prossima gli propongo di dare un nome al gruppo. Sono incerta tra «We shall never surrender» e «We shall overcome» ma so già che, comunque vada, combatteremo insieme una piccola guerra contro le abitudini del passato e la paura del futuro.