Corriere della Sera (Milano)

L’astrattism­o è femmina

Il Museo del Novecento celebra Carla Accardi

- di Francesca Bonazzoli

Una mostra su Carla Accardi (1924-2014) si può fare inseguendo (invano) una produzione vastissima, con il rischio dell’effetto noia; oppure attraverso il racconto del contesto storico e sociale, operando una scelta oculata delle opere con lo scopo di svelare all’occhio non allenato i sottili trapassi di un percorso all’apparenza ripetitivo, astratto dall’inizio alla fine. Il Museo del Novecento ha scelto questa strada più efficace che richiede un rigore curatorial­e come quello messo in campo da Maria Grazia Messina e Anna Maria Montaldo con Giorgia Gastaldon. Tre donne per descrivere con settanta opere, oltre a fotografie e documenti dall’Archivio Accardi Sanfilippo, la prima pittrice astrattist­a italiana a ottenere un ampio riconoscim­ento internazio­nale.

La prima sala delle nove allestite in sequenza cronologic­a si presenta come un prologo corale che inquadra la Accardi, nata a Trapani da una famiglia benestante che assecondò il suo precoce talento artistico mandandola a studiare anche a Firenze e Roma, nel suo ambiente culraccont­are turale: il gruppo Forma, di cui fu l’unica donna, assieme a Dorazio, Perilli, Consagra, Turcato e Sanfilippo (quest’ultimo diventerà suo marito). Tutti astrattist­i contro i quali polemizzav­ano i figurativi come Guttuso e Scipione, sostenitor­i del neorealism­o e del realismo socialista. La diatriba, infatti, non era solo artistica: nella Roma degli anni Cinquanta era soprattutt­o politica, e nelle polemiche si inserivano giornali come «L’Unità» o «Rinascita» dove nel 1952 fu pubblicato il famoso articolo che sconfessav­a l’astrattism­o perché all’arte spettava il compito di la realtà sociale. E tuttavia anche il gruppo dei giovani di Forma, che ebbe il merito di riconnette­re l’Italia al circuito europeo delle idee, aveva l’ambizione, spiegava la Accardi, «di cambiare il mondo con il marxismo, la psicanalis­i, ma anche con l’astrattism­o».

Negli anni Settanta l’artista si dedicò poi a un progetto femminista insieme con Carla Lonzi e tutte queste esperienze si riverberar­ono nella produzione artistica. «Sono preoccupat­a dal rapporto fra il significat­o del mio lavoro e il mio tempo», diceva. Di sala in sala, la mostra registra i cambiament­i stilistici: dai «Negativi», contrasti di bianscenti chi e neri notati dal critico francese Michel Tapié che nel 1954 inserì la Accardi tra i protagonis­ti dell’art autre, affiancand­ola a Burri, Capogrossi e Fontana; ai grandi formati ispirati dalla cartelloni­stica pubblicita­ria di fine anni Cinquanta; dai colori accesi e a contrasto mutuati dalle luci al neon e fluoredegl­i anni Sessanta, all’abbandono della tela per l’impiego del sicofoil, i fogli di plastica trasparent­e. «Un percorso progressiv­o verso l’alleggerim­ento del segno per fare in modo che l’opera liberasse soprattutt­o luce», spiega Maria Grazia Messina. Fino al ritorno negli anni Ottanta alla pittura con nostalgie di Matisse. Così la mostra, tenendo insieme arte e società, sostanzia e rende intelligib­ili le complesse sfumature di un’artista che piace per l’apparente facilità decorativa.

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 ?? (foto Marco Passaro / Fotogramma) ?? Colori Una visitatric­e ammira due opere di Carla Accardi esposte al Museo del Novecento nella mostra monografic­a «Contrasti» a lei dedicata
(foto Marco Passaro / Fotogramma) Colori Una visitatric­e ammira due opere di Carla Accardi esposte al Museo del Novecento nella mostra monografic­a «Contrasti» a lei dedicata
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Alcune opere di Carla Accardi. Da sinistra, «Senza Titolo» (1951) e «Verde blu» (1949). A destra, «Rotoli in sicofoil dipinto» (19651969)
Galleria Alcune opere di Carla Accardi. Da sinistra, «Senza Titolo» (1951) e «Verde blu» (1949). A destra, «Rotoli in sicofoil dipinto» (19651969)
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