La grande depressione degli hotel chiusi (aspettando i turisti)
Reportage negli alberghi: cali di oltre il 30% di presenze e fino al 70 % di fatturato
Cali dal 30 per cento (come minimo) nelle presenze, del 70 per cento nei fatturati, perché anche le tariffe sono precipitate mentre i costi fissi sono ancora tutti lì. È la crisi degli alberghi cittadini. Confcommercio sottolinea che a mancare è il pilastro fondamentale del turismo: da 11 milioni di presenze del 2019 si passerà alla metà.
«Se torniamo indietro di un anno, in questo stesso giorno e a questa stessa ora, alla reception ci sarebbero tre persone, qui nella hall vedreste qualche pilota d’aereo in attesa del pullmino verso l’aeroporto, lì in fondo, di fronte al bancone del bar il buffet sarebbe pieno di spuntini e gruppi di persone che sorseggiano l’aperitivo magari lavorando al computer...». Maurizio Naro descrive con tale dovizia di dettagli lo scenario «normale» del suo albergo che sembra di vederlo anche adesso, quel movimento tipico di un quattro stelle nel centro direzionale milanese. E invece il Four Points Sheraton è chiuso. Le 239 camere sono vuote, i 12 piani deserti, la hall inanimata, il bar senza nemmeno le bottiglie esposte e nelle sale meeting entrano soltanto i raggi obliqui del sole autunnale. «Abbiamo aperto in giugno e in luglio e abbiamo occupato circa 800 e 1.000 camere, contro le 7-8 mila abituali in quei due mesi».
Basterebbero questi numeri e il confronto tra qualche fotogramma visto e immaginato per descrivere la situazione della rete alberghiera di Milano. Cali dal 30 per cento in su nelle presenze e del 70 per cento nei fatturati, perché anche le tariffe sono precipitate, mentre i costi fissi sono ancora tutti lì. Confcommercio sottolinea che a mancare è il pilastro fondamentale del turismo: da 11 milioni di presenze del 2019 si passerà a poco più di 5 milioni a fine anno. E poi fiere ed eventi sono stati decimati al limite dell’azzeramento. Per questo Naro, che è anche presidente milanese di Federalberghi, dopo aver aperto un paio di piani in estate ha scelto di richiudere, così come hanno fatto tanti altri colleghi. «I dipendenti sono in cassa integrazione, ogni tanto qualcuno passa di qua a salutare e a chiedere quando riapriremo — racconta — molti di loro sono con me da una ventina d’anni». In tutta l’area metropolitana sono circa 30 mila i lavoratori del settore sospinti verso gli ammortizzatori sociali, che per giunta tardano ad arrivare. Roberta Griffini della Filcams Cgil e Paolo Miranda della Fisascat Cisl concordano nel richiedere tutele speciali per queste persone colpite più di altre dagli effetti economici della pandemia e un ripensamento del sistema degli appalti che ha generato tanta
Si oscilla tra il tutto completo e lo zero assoluto, ricevo continuamente telefonate da persone a cui hanno cancellato il volo
Una struttura per vivere deve essere aperta. Chiusi da marzo a settembre, ci siamo radunati con tutti i dipendenti per dire: noi ci siamo
per chi non è riuscito ad arrivare». In provincia, dove è meno rilevante la quota di clienti legati al grande circuito business internazionale, le cose vanno un po’ meno peggio. Ma anche in città — dove è scattata l’offerta della terza notte gratuita — ci si dà da fare per tenere stretti gli ospiti: «Li coccoliamo, ci inventiamo servizi nuovi e compatibili o addirittura studiati proprio per la situazione creata da questa emergenza sanitaria», spiega Roberto Pistore, patron di tre alberghi (Lombardia, Gamma e Dieci) tra Città studi e Lambrate. E racconta: «Siamo rimasti chiusi da marzo a settembre, a luglio ci siamo radunati con tutti i dipendenti per dire “noi ci siamo”. Oggi ho il 40 per cento di camere prenotate, quando arrivo al 60-70 per cento sono contento perché un albergo per vivere deve essere aperto». Anche Piero Marzot racconta, con lo stesso tono pacato e a tratti taumaturgicamente ironico usato dai colleghi, la situazione dei suoi due hotel, Spadari