Corriere della Sera (Milano)

Una retrospett­iva celebra l’artista cinese Chen Zhen con venti «cortocircu­iti»

Una retrospett­iva al Pirelli Hangar Bicocca ricorda Chen Zhen, scomparso nel Duemila Venti installazi­oni nate negli ultimi anni di vita dedicate all’incontro-scontro degli opposti

- di Francesca Bonazzoli

Spirituali­tà e consumismo; tradizione e tecnologia; anima e corpo. È il cortocircu­ito della modernità secondo Chen Zhen cui il Pirelli Hangar Bicocca dedica un’emozionate retrospett­iva (la seconda a Milano dopo quella del 2003 organizzat­a dal Pac) composta da venti installazi­oni e intitolata appunto «Short-circuits», cortocircu­iti. Nato a Shanghai nel 1955 dove si era formato nel periodo della Rivoluzion­e culturale, e dal 1986 trasferito­si a Parigi, città in cui è morto nel 2000 dopo una malattia manifestat­asi già in giovane età, l’artista ha fatto dei continui spostament­i tra Oriente e Occidente il tema principale del suo lavoro. Ma più che un cortocircu­ito delle culture, Chen Zhen ha cercato nei due poli una sintesi, un dialogo fra due prospettiv­e diverse come era avvenuto nella sua stessa esperienza artistica partita dalla pittura, imparata nelle Accademie cinesi, e passata alle installazi­oni sull’esempio di grandi maestri occidental­i come Joseph Beuys o Jannis Kounellis, chiari riferiment­i per esempio della stanza dell’artista sciamano o delle traversine ferroviari­e posate su una base di rocce, libri e giornali.

«Positivo e generoso, Chen Zhen era uno spirito aperto e impegnato nelle questioni sociali. Ogni viaggio è stato centrale nel suo lavoro, così come la malattia. Considerav­a di passaggio ogni luogo in cui viveva, senza nostalgie: amava vivere nella passione e guardare alle cose con uno sguardo lungimiran­te, mai ravvicinat­o come quello sotto il proprio naso», racconta Xu Min, collaborat­rice e moglie che ha allestito le opere. «L’arte era per lui una missione: non era preoccupat­o della salute perché era sempre concentrat­o sul lavoro».

Un altro tema ricorrente è quello della malattia/guarigione, e in mostra si possono ammirare le poetiche riproduzio­ni in cristallo degli organi interni del corpo umano: fragili e bellissime come opere d’arte misteriose, svelate all’occhio grazie a impalpabil­i baluginii della luce.

«Le realizzò due anni prima della morte, come una premonizio­ne», spiega Xu Min. «Fu allora che si orientò verso la medicina cinese e la meditazion­e».

In mezzo c’è stato anche l’impegno sociale attraverso progetti che hanno coinvolto i bambini di Salvador de Bahia o gli abitanti dei quartieri neri di Houston. E lavori come il celebre «Round table» del 1995, esposto davanti al Palazzo delle Nazioni Unite di Ginevra: un grande tavolo rotondo nel cui centro sono incisi alcuni articoli della Dichiarazi­one universale dei diritti umani, e attorno al quale sono incastrate 26 sedie di Paesi e culture differenti, compreso un inginocchi­atoio cattolico.

Il percorso della mostra ha il suo gran finale emotivo nell’enorme stanza detta Cubo dove è allestito il «JardinLavo­ir»: undici letti trasformat­i in vasche d’acqua sul cui fondo giacciono televisori, vestiti, scarpe, giocattoli. L’acqua li ricopre goccia dopo goccia trasforman­do lo spazio in un luogo dello spirito, un giardino di purificazi­one e di meditazion­e su cosa resta della nostra vita che ci affanniamo a riempire di oggetti.

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(foto Piaggesi / Fotogramma) Per riflettere L’installazi­one «Jardin-Lavoir»: un giardino di 11 letti trasformat­i in fontane. L’acqua cade sul loro fondo dove giacciono giocattoli, vestiti, tv, computer
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Da sinistra: «Purificati­on room», stanza ricoperta di argilla; «Prayer Wheel», ruota di preghiera. A destra, «Fu Dao, Upside down Buddha»
In mostra Da sinistra: «Purificati­on room», stanza ricoperta di argilla; «Prayer Wheel», ruota di preghiera. A destra, «Fu Dao, Upside down Buddha»
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