Didattica a distanza: studenti e prof al bivio «Qui s’impara di più»
Fronte del no alla Dad. «Ma la strada sembra segnata»
«Non c’è paragone tra didattica a distanza (Dad) e lezioni in classe. In presenza le cose si capiscono meglio, si possono fare domande senza temere che cada la connessione. E la lavagna è sempre la lavagna». Angelo Caminiti, 19 anni, fa l’ultimo anno al liceo scientifico sportivo Cardano in via Giulio Natta a Lampugnano e — insieme con i suoi compagni di classe — non nasconde i timori alla possitano bilità di un ritorno alla didattica a distanza per i ragazzi delle ultime classi delle superiori, come proposto dai presidenti di alcune Regioni. I ragazzi preferiscono le lezioni in classe, seppur con tutte le difficoltà di questo periodo.
«Facciamo sei ore di fila e l’intervallo è seduti ai banchi. Ci portiamo sciarpe e plaid, perché le finestre devono restare aperte» racconta Benedetta Balzano, al quinto anno del turistico Gentileschi, nello stesso quartiere. «In queste condizioni sarebbe preferibile la didattica a distanza, ma avremo l’esame di maturità e le lezioni in classe sono irrinunciabili. Certo, potrebbero essere organizzate meglio» aggiunge Agnese Signorelli. «Io farei andare in classe solo le prime e le quinte, gli altri li farei entrare in classe solo per le interrogazioni e verifiche — dice Alberto Oleari, padre di una liceale —. La categoria degli studenti è molto penalizzata, con tutte queste restrizioni. E intanto i controlli lati
Carmen Cantore I ragazzi non elaborano i contenuti e hanno risultati peggiori
Agnese Signorelli L’epidemia spinge verso la Dad ma con l’esame di maturità è un disagio
su altri luoghi, dove le regole non si rispettano». Carmen Cantone da un anno insegna francese al Gentileschi. «Potendo, non sceglierei mai le lezioni a distanza — precisa —: i ragazzi non hanno modo di interiorizzare i contenuti e si spezza la relazione tra la classe e l’insegnante. Per quanto riguarda la trasmissione dei contenuti, nonostante tutti gli sforzi, è avvenuta solo in minima parte. Anche dai ragazzi più volenterosi il risultato ottenuto non è stato quello atteso».
Molto critica anche Giovanna Mezzatesta, preside allo scientifico Bottoni di via Mac Mahon. «Se c’è un problema di trasporti, che vengano potenziati: che senso ha chiudere le scuole e far venire i ragazzi solo per le verifiche? La scuola non è un esamificio. Ma nemmeno è utile al Pil, per questo si pensa subito a lei, quando si cerca qualcosa da chiudere. Evidentemente non c’è lungimiranza».
Al classico Beccaria di via Linneo, in zona corso Sempione, invece, la dirigente Simonetta Cavalieri racconta le difficoltà dei presidi a tenere il registro dei contagi a scuola. «Il tracciamento è molto complesso, ricevo varie segnalazioni al giorno da parte degli studenti stessi o delle famiglie. Del resto, facciamo i conti con la realtà di ragazzi grandi, che hanno una vita fuori da scuola, che li porta a correre dei rischi — sottolinea la preside —. Già ho delle classi in quarantena e, se la situazione non cambia, temo che arriveremo presto a fare la didattica a distanza per molti classi. È un dato oggettivo, non una scelta politica».
Angelo Caminiti Dialogo e domande: le lezioni in classe insostituibili con quelle via Internet
Le classi online
La preside del Beccaria: «In poco tempo molte lezioni da remoto: non è politica ma realismo»