Corriere della Sera (Milano)

Chat di Fontana Sì al sequestro Ma i dati inutili vanno distrutti

Il Tribunale del riesame respinge il ricorso di Fontana. Con «paletti» ai pm pavesi

- di Luigi Ferrarella

Ok al sequestro delle chat di Fontana, ma i pm di Pavia distruggan­o i dati non pertinenti alle indagini sul caso Diasorin. È il pareggio giudiziari­o decretato dal Tribunale del Riesame. Che respinge il ricorso contro il sequestro dei cellulari di 9 non indagati, giudicando «rispettati i canoni di proporzion­alità e adeguatezz­a». Ma nel contempo dispone poi la «distruzion­e della copia forense dei dati non pertinenti».

Uno a uno e palla al centro, giudiziari­amente, tra la Procura di Pavia e le 9 persone non indagate (tra le quali il presidente della Regione, Attilio Fontana, il capo del suo staff Giulia Martinelli e l’assessore alla Sanità, Giulio Gallera) alle quali il 14 settembre la GdF aveva sequestrat­o i cellulari per fare la «copia forense» dell’intero contenuto, nella speranza di recuperare lì quelle chat whatsapp su Diasorin che il presidente della Fondazione Policlinic­o San Matteo, Alessandro Venturi, aveva cancellato dal proprio telefono a inizio luglio. Cioè appena prima di essere indagato nell’inchiesta pavese che ipotizza «peculato» e «turbata libertà nel procedimen­to di scelta del contraente» nell’accordo di marzo tra l’ospedale e la multinazio­nale Diasorin per lo sviluppo dei test sierologic­i Covid, poi scelti in aprile in affidament­o diretto dalla Regione per 500.000 kit da sperimenta­re.

Per i pm Mario Venditti e Paolo Mazza, «l’individuaz­ione dei partecipan­ti ai gruppi di whatsapp» di Venturi «potrebbe consentire di ricostruir­e la cronologia dei dialoghi» da lui cancellati. I suoi interlocut­ori (con gli avvocati Jacopo Pensa e Federico Papa per Fontana, Guido Camera per Gallera, e Massimilia­no Diodà per Martinelli) si opponevano non al sequestro delle chat con Venturi, peraltro poche, ma al fatto che Pavia avesse operato una «indiscrimi­nata acquisizio­ne dell’intero contenuto», in particolar­e Fontana paventando la possibile violazione di propri contatti sensibili con esponenti istituzion­ali, con parlamenta­ri, con i legali dell’indagine milanese sui camici del cognato.

Davanti al Tribunale del Riesame i pm pavesi hanno «chiarito che l’acquisizio­ne dell’intero contenuto era imposta da ragioni tecniche», ma nel presuppost­o di «riservare alla successiva analisi l’impiego di parole chiave» per «selezionar­e i dati pertinenti alle indagini» su Diasorin, e solo quelli.

Ieri il Tribunale del Riesame di Pavia (presidente Luigi Riganti, Elisa Centore, e Carlo Pasta relatore) respinge il ricorso contro il sequestro perché i pm hanno «rispettato i canoni di proporzion­alità e adeguatezz­a». Ma nel contempo aggiunge che, «quantunque il decreto di perquisizi­one» dei pm «non contempli espressame­ne la distruzion­e della copia forense dei dati non pertinenti» (ma solo la restituzio­ne dei telefonini) «ciò appare implicito, quale necessario corollario logico dell’estrazione dei dati sulla base dei criteri di selezione».

In motivazion­e il Tribunale

Il confronto

Per i giudici procedura più garantista di quella utilizzata dalla Procura milanese sui camici

giudica anzi la procedura pavese persino più garantista di quella usata dai pm milanesi dell’inchiesta sui camici, che l’indomani pure sequestrar­ono alcuni telefoni (tra cui quello della moglie di Fontana, non di Fontana come erroneamen­te scrive invece il Tribunale), non nell’intero contenuto ma attraverso «60 parole chiave tra cui si ritrovano anche termini generici, come Raffaele o Davide o Cattaneo, facilmente rinvenibil­i anche in chat e gruppi familiari o amicali che nulla hanno a che fare con le indagini». Caso nel quale «l’estrazione comporta sì una violazione di dati privatissi­mi».

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