L’Ippodromo, monumento centenario
Le sfide dei nobili tra i campi. Poi nel 1920 il piano visionario di una casa per le corse
Cent’anni d’Ippodromo. L’impianto di San Siro, unica struttura dedicata alle corse dei cavalli dichiarata monumento di interesse nazionale, festeggia il secolo di vita. Una mostra permanente da sabato espone per la prima volta fotografie, stampe e disegni conservati negli archivi. Mentre ai piedi del Cavallo di
Leonardo stasera sarà trasmesso in streaming il concerto del pianista e compositore Dardust. La passione dei milanesi per l’ippica risale a inizio ‘800 con le prime corse al galoppo improvvisate dalle famiglie nobili nella zona, allora campestre, che oggi è corso Buenos Aires. Poi la decisione del primo impianto tra Porta Magenta e San Siro.
Cento anni di un pezzo di storia milanese: l’Ippodromo, unico impianto ippico al mondo dichiarato monumento di interesse nazionale, festeggia il secolo di vita. Una mostra permanente da sabato espone per la prima volta fotografie, stampe e disegni conservati negli archivi mentre ai piedi del Cavallo di Leonardo stasera viene trasmesso un concerto in streaming del pianista e compositore Dardust. La passione dei milanesi per l’ippica risale a inizio 1800: all’epoca i nobili improvvisavano le primissime corse di galoppo per difendere l’onore della casata in aperta campagna e su viali polverosi della zona che oggi è corso Buenos Aires. Nel 1887, la svolta: la Società Lombarda per le Corse dei Cavalli, in origine allocata a Senago, decide di allestire un ippodromo fuori Porta Magenta, a San Siro. L’attività inizia a San Siro nel 1888 e riscuote subito un enorme successo di pubblico: in quegli anni lo stadio, la «Scala del Calcio», non è nemmeno un progetto. «Ma l’Ippodromo per come lo conosciamo oggi viene inaugurato il 25 aprile 1920», ricorda Snaitech, proprietaria del complesso. Quando l’architetto Paolo Vietti Violi si aggiudica il progetto non ha ancora 30 anni e sta per affrontare una sfida piena di insidie. Gli impianti di quel tipo sono frequentati da aristocratici e alta borghesia, devono rispettare elevatissimi canoni estetici e presentano insieme una complessità tecnica che non ha equivalenti nel mondo dello sport. Attorno alla pista si articola infatti un microcosmo di strutture - per il ricovero e l’allenamento dei cavalli, per gli addetti ai lavori, per gli spettatori, gli allibratori e la direzione di gara. Il pubblico, poi, è in continuo movimento: tra una corsa e l’altra scende dalle tribune per osservare i cavalli nel tondino, partecipare alle aste e scommettere. In quel «luogo magico» si respira la storia della città. Lì Luchino Visconti, prima d’essere regista, vinse da allenatore il Gran Premio di Milano con un cavallo acquistato per 1.500 lire da Federico Tesio. Tra i viali dell’impianto ha passeggiato poi Ernest Hemingway: ferito sul Piave e convalescente a Milano, cercava alle corse la spensieratezza evocata in «Addio alle armi».