NOVENA E QUARANTENA UN VIAGGIO NELLE PAROLE
Una quarantena ora di dieci giorni. Meglio sarebbe di nove. Così si potrebbe far uso della parola «novena», dimenticando il cupo, minaccioso e anche menzognero vocabolo «quarantena». Forse novena potrebbe persino portar bene e, se non altro, pronunciandola non sarebbe la peste la prima associazione ad affacciarsi nelle nostre menti. Già qualcosa. Quanto al numero sei da non superare per gli inviti, ci appaiono nel telefonino le meste espressioni dei sette nani. Proviamo a restare un minuto nel fiabesco per sfuggire all’assurdo: volendoli invitare a cena quale scartereste, ho chiesto a certi miei amici bambini. Anzi quali al plurale, contando il padrone di casa ospitante. Quasi unanimità per lasciare nel bosco Brontolo (votanti Santiago, Giulio, Sergio e Anna) perché «rompe». Ma spunta anche il nome Pisolo (votanti Jacopo, Matteo e Pietro) perché tanto lui dorme sempre. E infine un Eolo (votante Daniela) giudicato pericoloso, starnutisce troppo! E che chi viene non si dimentichi le mascherine, si raccomandano. Ma con l’abbassamento della temperatura, la scocciatura di indossarle si è trasformata in quasi piacere, è come una sciarpetta che sta su da sola, che non scende mai, guance caldine, nessun naso rosso. Questa ventata di infanzia mi ha ricordato due splendidi versi di Louise Gluck, Premio Nobel 2020 per la Letteratura, posti in chiusura della poesia Nostos che con un clic, come nelle fiabe, trovate in rete: «Guardiamo il mondo una volta, da piccoli./Il resto è memoria».