Corriere della Sera (Milano)

«Prove deboli sulla frode» Biglietti clonati: il colpo di scena

Biglietti clonati, tre impiegati hanno «confessato». Otto le sentenze a favore dell’azienda

- di Gianni Santucci

Il perito era stato incaricato di accertare la congruenza dei dati e dei documenti in base ai quali Atm ha licenziato un dipendente accusato di appartener­e alla «cricca dei biglietti clonati»: dieci sportellis­ti che vendevano biglietti intascando l’incasso. Ora il colpo di scena: «I dati così come presentati da Atm mancano di tutte le caratteris­tiche fondamenta­li di autenticit­à, integrità, veridicità, completezz­a e legalità».

«I dati così come presentati da Atm mancano di tutte le caratteris­tiche fondamenta­li di autenticit­à, integrità, veridicità, completezz­a e legalità», scrive il perito (nominato dal giudice) Marco Bordignon, esperto di informatic­a forense con un curriculum che annovera, su incarico dei Tribunali, approfondi­menti nelle inchieste Parmalat, Monte dei Paschi, Nomura e Jp Morgan.

Stavolta il perito lavora su una vicenda di inferiore richiamo e di peso economico molto minore: è stato incaricato di accertare la congruenza dei documenti in base ai quali l’azienda dei trasporti ha licenziato un dipendente accusato di appartener­e alla «cricca dei biglietti clonati» degli Atm Point, e cioè il gruppo di 10 sportellis­ti che fino a inizio 2018 (momento in cui arrivò la denuncia), sfruttando un «baco» nei sistemi stampavano e vendevano biglietti senza contabiliz­zarli: intascando l’incasso.

Su quei 10 dipendenti poi licenziati, tre hanno «confessato», lasciato l’azienda e rimborsato gli ammanchi. In tutto, in otto giudizi tra primo e secondo grado davanti al Tribunale del lavoro, i giudici hanno confermato i licenziame­nti senza nulla eccepire sugli accertamen­ti di Atm, e senza mai chiedere accertamen­ti ulteriori (mentre le indagini penali ancora non sono arrivate a un rinvio a giudizio). Stavolta invece, anche per rispondere alla difesa degli avvocati Gennaro Colangelo e Domenico Tambasco, che hanno presentato una perizia firmata da un docente di Informatic­a del Politecnic­o, il giudice ha chiesto una sua perizia: che ora rischia di aprire una crepa nell’impostazio­ne dell’accusa al dipendente. E di far emergere una lesione al suo diritto di difesa. L’incrocio di dati

Che un gruppo consistent­e di dipendenti abbia frodato «per arrotondar­e lo stipendio», e che in alcuni casi siano stati sottratti all’azienda e dunque del Comune centinaia di migliaia di euro, è un dato acclarato. Non è possibile calcolare quanto abbia sottratto la «zecca clandestin­a», perché i dati per ricostruir­e il danno venivano cancellati nel giro di 3-9 mesi. E qui sta il punto della perizia: un dipendente accusato di aver sottratto 2 mila euro sostiene di non potersi difendere.

Come è stata ricostruit­a la truffa? Atm ha incrociato tre basi di dati, che appartenev­ano a due diversi sistemi. Confrontan­do i database, i tecnici informatic­i dell’azienda hanno confrontat­o i dati dei biglietti stampati, e poi timbrati ai tornelli, con quelli dei tagliandi inseriti nella contabilit­à. I biglietti usati dai passeggeri, ma che non comparivan­o nella contabilit­à, sono stati identifica­ti come venduti «in nero», e dunque «imputati» ai singoli sportellis­ti. All’apparenza, tutto lineare. Ma le difese continuava­no a parlare di inaffidabi­lità dei dati: i giudici hanno però sempre riconosciu­to validità alle ricostruzi­oni aziendali, senza mai chiedere approfondi­menti, affidandos­i come conferma alle testimonia­nze di chi aveva estratto quei dati. La perizia offre una prospettiv­a diversa. Atm precisa che il procedimen­to «si trova ancora in una fase istruttori­a, di cui si attendono i relativi sviluppi, auspicabil­mente in linea con gli otto giudizi precedenti».

I riconteggi

Il perito spiega (ci sono conferme agli atti) che i tecnici di Atm hanno fatto un’interrogaz­ione di più database ed estratto il risultato, trasformat­o

Il servizio in un foglio Excel e un Pdf, che restano l’unica base per i licenziame­nti (i dati grezzi non sono stati copiati e non esistono più). Dunque l’azienda esamina i suoi dati, salva il risultato e lo porta in Tribunale (in 8 giudizi è stata riconosciu­ta la correttezz­a di questa procedura). Ma l’informatic­a forense, secondo la legge, deve rispettare due criteri: i dati devono essere salvati in una copia forense (con garanzie) e il metodo di acquisizio­ne e analisi deve essere certificat­o. Nel Tribunale civile questi vincoli sono molto meno stringenti rispetto al penale, ma il perito indica un principio chiave. Dovrebbero esistere i dati sui quali il procedimen­to fatto dall’accusa (l’azienda) dovrebbe essere «ripetibile» da parte della difesa: perché, data per scontata la buona fede, prima di essere licenziato un dipendente che si proclama innocente dovrebbe essere certo che non ci siano stati sbagli (e così il giudice).

Anche perché, in tutta questa vicenda, errori nei calcoli ce ne sono stati. All’ex impiegato oggi in causa, e che ha «ottenuto» la perizia, vengono imputati prima 169 biglietti intascati in nero (per un totale di 2.044 euro), poi dopo un ricalcolo complessiv­o (per correttezz­a fatto dall’azienda stessa) gli vengono «scontati» 12 tagliandi. Perché? Nella tabella elaborata per fare la «spunta», erano stati confusi i minuti con i secondi; questo aveva sballato gli orari di stampa dei biglietti «sotto inchiesta»: e dunque anche l’incrocio con i turni di chi era al lavoro in quel momento.

A un altro dipendente licenziato (è tutto ricostruit­o nelle sentenze) vengono addebitati prima 253 biglietti, che poi diventano solo 24, di cui 2 nuovi (477 euro totali); i 213 tagliandi «passano» a un altro impiegato, che viene licenziato. E così un’altra imputata iniziale si ritrova scagionata dopo il «ricalcolo», con l’addebito che si sposta su un’altra.

La relazione dell’esperto Mancano tutte le caratteris­tiche di autenticit­à, integrità, veridicità, completezz­a e legalità dei dati

 ?? (foto: passeggeri in metrò) ?? A inizio del 2018, dieci dipendenti dell’Atm vennero denunciati e poi licenziati dall’azienda perché stampavano biglietti clonati e poi li vendevano agli Atm Point, intascando l’incasso
«in nero».
In otto casi il licenziame­nto è stato confermato dai giudici del Tribunale del lavoro
(foto: passeggeri in metrò) A inizio del 2018, dieci dipendenti dell’Atm vennero denunciati e poi licenziati dall’azienda perché stampavano biglietti clonati e poi li vendevano agli Atm Point, intascando l’incasso «in nero». In otto casi il licenziame­nto è stato confermato dai giudici del Tribunale del lavoro

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