Medici in squadra con meno pazienti: un cambio di rotta
Il dibattito sulla riforma sanitaria lombarda e sulle priorità per valorizzare il «perno» dei medici di famiglia. E poi i ragazzi, alle prese con la Maturità, la nuova mobilità e il decoro della città.
Caro Schiavi, da ex medico ospedaliero segnalo che la complessità della medicina odierna non può essere liquidata in breve, ma alcuni punti sono fondamentali. Primo: un medico di famiglia non dovrebbe mai lavorare da solo, ma essere in una équipe come in ospedale. Secondo: l’atto medico comporta non solo dialogo, ma sempre la visita, il cosiddetto esame obiettivo. Terzo: il medico non dovrebbe avere in carico più di 700 pazienti. Quanto al Pronto soccorso, i pazienti ci vanno perché hanno capito che non bastano parole ed esame obiettivo per fare una diagnosi, ma occorrono anche ematochimici, ecografia e ripetizione esami a distanza di tempo (si pensi a una sospetta crisi anginosa di nuovo esordio). I pazienti non «intasano» i Pronto soccorso: hanno intuito la complessità del reale. Per il Covid occorrevano le Usca, ovvero équipe di visita a domicilio con conservata sterilità in entrata e uscita dalla casa del malato. Quindi: rivedere i parametri di lavoro, la organizzazione in squadra e non individualistica che fa riferimento solo a superficialità ed interesse economico del medico. Per cambiare serve una trasformazione etica e funzionale, di cui oggi non vedo traccia.
Francesco Stella
Caro Stella, spero che anche questo contributo possa essere utile a chi sta impostando la riforma della medicina sul territorio. Ci sono correzioni di rotta da fare che riguardano medici di famiglia e ospedali: su San Paolo e San Carlo si è fatto un passo indietro rispetto alla fusione, ma la sanità pubblica zoppica da tempo in Lombardia, per cause politiche e gestionali. Si è fatto finta di niente per anni: tanto, dicevano, siamo un’eccellenza…