Fine blocco, 120 mila posti in bilico
Dal primo luglio stop alle tutele. Le stime dei sindacati. Ma gli industriali: non sarà uno tsunami
Poche settimane fa la Banca d’Italia ha diffuso la stima di circa 500 mila posti di lavoro persi come diretta conseguenza della fine del blocco dei licenziamenti. La ricaduta, secondo i sindacati, è molto preoccupante: temono che si perderanno 40 mila posti a Milano e 120 mila in tutta Lombardia. Gli industriali però, dall’altra parte, non si aspettano alcun dramma occupazionale. Quale sarà la trasformazione, si scoprirà soltanto il primo luglio, quando decadrà il lungo blocco introdotto come contrappeso sociale agli effetti della pandemia. L’allarme della Cgil: a perdere il posto saranno soprattutto persone tra i 40 e i 50 anni con una storia di contratti a tempo determinato.
I sindacati sono preoccupati: temono 40 mila posti in meno a Milano e 120 mila in tutta Lombardia. Gli industriali non si aspettano alcuna tempesta occupazionale e anche qualche esperto dei numeri del lavoro esclude l’apocalisse. Insomma, la scadenza del primo luglio, quando decadrà il lungo blocco dei licenziamenti introdotto come contrappeso sociale ai nefasti effetti della pandemia sull’economia, sono come le Colonne d’Ercole: soltanto una volta attraversate si saprà cosa c’è davvero dall’altra parte.
Il punto di riferimento di questa interpretazione dei presagi del futuro prossimo, è la stima fatta poche settimane fa dalla Banca d’Italia: circa 500 mila posti di lavoro in meno come diretta conseguenza della fine del blocco dei licenziamenti. Facendo proporzioni e proiezioni, Antonio Verona — che da anni tiene sotto monitoraggio pressoché quotidiano il mercato del lavoro per la Cgil di Milano — arriva a ipotizzare «potenzialmente 40 mila di quegli occupati in meno» nel perimetro dell’area metropo
litana milanese. «L’altro punto di riferimento disponibile per costruire ipotesi — aggiunge Verona — sono i numeri dei licenziamenti avvenuti nel 2020, dal giorno in cui è scattato il divieto fino al 31 dicembre: 380 mila in tutta Italia, 28 mila qui a Milano». In sostanza, è la tesi della Cgil, ricorrendo a causali diverse (e ammesse) le aziende hanno comunque già alleggerito i propri ranghi. Ed esiste anche un identikit del lavoratore espulso in questo periodo: «Maschio, tra i 40 e i 50 anni — spiega ancora Antonio Verona — con un lungo periodo di attività regolata da contratti a tempo determinato con la stessa azienda». Insomma, fragile contrattualmente e difficile da ricollocare.
Danilo Margaritella, segretario milanese e regionale della Uil, ipotizza 120 mila licenziamenti potenziali in tutta la Lombardia, «cioè tra il 20 e il 25 per cento dei 500 mila previsti da Bankitalia». Ma non tutti i settori produttivi soffriranno allo stesso modo: «Il turismo è tra i comparti più fragili — sottolinea il leader della Uil lombarda — e per questo esistono situazioni come quelle che riguardano l’economia lariana, tra Como e Lecco, dove secondo un nostro studio si rischia un calo del 43 per cento tra i tour operator e si stimano 180 mila persone in cerca di lavoro».
Livio Loverso, che da anni studia i numeri del lavoro milanese per la Città metropolitana, è molto meno pessimista: «Il deflusso di lavoratori dai settori in crisi e sostanzialmente già avvenuto, non mi aspetto uno tsunami». E la sua ipotesi incrocia quella di Assolombarda: più volte, nelle ultime settimane, Alessandro Spada, presidente degli industriali milanesi, ha ribadito di non aspettarsi una tempesta occupazionale. E adesso aggiunge: «Si continua a guardare la questione da un punto di vista sbagliato, per tre ragioni — spiega —. Il primo è che questa misura si è resa inizialmente necessaria per fronteggiare una situazione di emergenza. Secondo, non è chiara l’opportunità di continuare a prorogare il blocco quando esistono già strumenti utili a sostenere aziende e lavoratori in difficoltà, come la Cassa Integrazione, che peraltro non incide sul debito come invece fa la Cassa Covid e che, nel caso di utilizzo, tutela comunque i lavoratori. Terzo, questa fase di ripartenza richiede flessibilità per rispondere a un mercato del lavoro in evoluzione e che necessita di competenze e formazione». E conclude: «La vera urgenza è confrontarsi sugli ammortizzatori sociali».
Dalla Camera del lavoro, Antonio Verona della Cgil introduce una nuova data: il primo ottobre. «A luglio cadrà il blocco dei licenziamenti nel settore meno fragile, ma cosa succederà in ottobre, quando non ci saranno più barriere all’espulsione di lavoratori di bar, ristoranti, palestre, piscine e di tutti gli ambiti più vulnerabili, meno sindacalizzati e che comunque rappresentano circa l’80 per cento dell’economia milanese?». E aggiunge: «È in corso una trasformazione della struttura occupazionale di molte aziende: un nucleo centrale di dipendenti stabili e tutelati con attorno una pletora di figure più precarie. E forse questo spiega tanti licenziamenti con causale “ristrutturazione aziendale”».