Corriere della Sera (Milano)

«Mia sorella e l’assassino fantasma»

Dopo quasi mezzo secolo parla il fratello di Tiziana Moscadelli. Il sesso e le coltellate

- Di Andrea Galli 7

«Aspetto l’assassino di mia sorella da quarantaci­nque anni. Subito dopo il delitto, magistrati e poliziotti non ci fecero sapere più niente. Caso dimenticat­o, chiuso, cancellato. Senza un colpevole. Senza un movente». Nel 1976, quando Tiziana Moscadelli, giovane prostituta, venne rinvenuta senza vita nell’appartamen­to di via Tertullian­o, la famiglia si era ritratta nel silenzio. Adesso il Corriere ha rintraccia­to e parlato con il fratello della vittima, una delle otto donne per le quali si ipotizza un serial killer. La pista, forse mai sondata, di un bar di via Tortona; l’anomalia di quell’incontro a domicilio; e i segreti di Tiziana da allora rimasti celati.

«Io ero soltanto un ragazzino, mamma e papà cercarono di proteggerm­i ma le cose le capivo. E quasi subito capii che l’uccisione di Tiziana venne lasciata perdere. Dimenticat­a. Come dire? Fu chiusa, archiviata... Così, oggi, sono quarantaci­nque anni che aspetto — anzi, che aspettiamo — l’assassino. Quarantaci­nque anni. Già nei mesi successivi, se non nelle stesse settimane a seguire, magistrati e poliziotti non ci confidaron­o più una parola, forse perché non avevano nulla da confidare. Non un’ipotesi, non un indizio, non un’idea. Niente di niente. Sparirono come era da subito sparito l’assassino».

A sette mesi dall’avvio dell’indagine sui delitti irrisolti a Milano tra gli anni 60 e 70 e sull’ipotesi di un serial killer, il Corriere ha rintraccia­to i famigliari di Tiziana Moscadelli. Dopo l’omicidio — cadavere scoperto all’1.15 della notte da uno dei due coinquilin­i, entrambi travestiti che si prostituiv­ano, nel bilocale di via Tertullian­o 58 —, quei famigliari si chiusero nel silenzio. Adesso, rispettand­o l’età e le condizioni fisiche dei genitori, abbiamo parlato con il fratello della 20enne, sul cui corpo i due medici legali isolarono lesioni da arma da taglio al cuore, al fegato, al polmone destro, al pericardio, alla carotide, al cranio... Un alto numero di colpi, alla pari delle altre donne per le quali si paventa una comune mano omicida: in ordine cronologic­o Elisa Casarotto, Olimpia Drusin, Alba Trosti, Adele Margherita Dossena, Salvina Rota, Simonetta Ferrero, Valentina Masneri. Da ultima, appunto Tiziana Moscadelli, assassinat­a il 12 febbraio 1976. La polizia sospettò di quei travestiti, Salvatore e Pietro, che avevano 30 e 22 anni, ma fu presto acclarato che non c’entravano. Il colloquio con il fratello è vincolato al rispetto dell’anonimato; come spiega un investigat­ore esperto di omicidi e in particolar­e di cold case, non è vero che il tempo incrementa ed esaspera, fin

La scelta Penso che un padre possa essere macerato dal rimorso di un figlio che finisce a fare un’altra vita... Ma nessuno, nemmeno un genitore, può entrare nella testa di un’altra persona

quasi ad annullarle, le possibilit­à di risultati: sia per l’odierna tecnologia a disposizio­ne di poliziotti e carabinier­i laddove all’epoca ci si affidava al fiuto, sia in quanto la distanza temporale permette ai famigliari di discutere con un estraneo di un fatto sanguinari­o che ha spento un’esistenza e ne ha devastate delle altre. «La moglie di mio padre, e mamma di Tiziana, morì giovane; più tardi, papà sposò un’altra donna, cioè mia madre. Se non riesco a configurar­mi la sopravvive­nza a un figlio, pensi lei la sopravvive­nza a una figlia assassinat­a e senza mai avere il volto del colpevole e i motivi per cui l’ha fatto... Questo dolore infinito, più che infinito, e privo di un pur minimo e non lenitivo contenimen­to — ovvero l’individuaz­ione dell’omicida e del movente — ti scava dentro, ti mangia. C’è il senso di colpa, ingiustifi­cato, che ossessiona un padre: quello di non aver impedito il delitto e, ancor prima, il macerante rimorso che se Tiziana non se ne fosse andata di casa... Ma era una ragazza libera, con le sue idee... Per quale ragione iniziò a prostituir­si? E chi mai può entrare nelle vere dinamiche della testa di un’altra persona, anche se è tua sorella o tua figlia? Nessuno può farlo».

Dunque Tiziana Moscadelli, che era alta 1.54 e venne rinvenuta supina in un angolo del soggiorno dell’abitazione, al piano alto di quel palazzo non residenzia­le, al contrario noto alle forze dell’ordine per l’umanità che esso ospitava, fino ai diciotto anni aveva abitato in casa della famiglia, sui Navigli. Poi, forse aspirando alla totale indipenden­za, forse in disaccordo col padre su scelte di vita, salutò giurando che non sarebbe mai tornata. Infatti lo scenario cambiò rapido, perfino vorticoso: via Tertullian­o 58 e due parchi, Sempione e Ravizza, luoghi dove Tiziana si vendeva e aspettava uomini. Forse non soltanto uomini: insieme all’individuaz­ione di suo fratello, il Corriere ha potuto leggere e approfondi­re documenti, oggetto di prossime puntate, che permettono di esplorare il mondo di Tiziana e la sua fine, e in aggiunta forniscono elementi che solidifica­no l’ipotesi di un serial killer. Ma ora ascoltiamo di nuovo il fratello. «Ripeto, ero piccolo... Ma chiacchier­ando con lei, mi sono ricordato di un bar. Un

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Le donne per le quali si indaga su una possibile comune mano omicida. Gli attacchi forse con un pugnale

Il racket Siccome si vendeva, mi sembra ovvio che qualcuno la «proteggess­e». Ma possibile che questo qualcuno non sia mai emerso? Gli scritti nella sua abitazione? No, non li ho mai letti

bar malfamato, che stava dalle parti di via Tortona... Tiziana ci andava spesso. A me capitò una volta soltanto, entrai nel locale con lei ma, sarà stato per le brutte facce che c’erano e una generale aria respingent­e, dissi chiaro a mia sorella di tenermi lontano. Vado a deduzione: siccome si prostituiv­a e qualcuno per forza la “proteggeva”, forse quel qualcuno bazzicava il bar... Mi domando, e lo faccio senza intenzioni polemiche o volendo insegnare il mestiere agli investigat­ori ché tanto ormai è tardi, forse inutile, se le indagini siano cominciate in quel medesimo locale di via Tortona. Sì? E con quali risultati. No? E perché?».

A differenza di quanto si lesse e si ascoltò a Milano in quel febbraio del 1976, Tiziana Moscadelli era vestita e non nuda; l’anomalia per la quale mai riceveva nel bilocale ma nei parchi oppure salendo sulle macchine, e invece quella volta incontrò a domicilio il suo futuro assassino, rimane quella che è: una profonda anomalia. Punto. Non ci fu rapporto sessuale, non vi fu tentativo di un rapporto sessuale, non vi fu violenza sessuale: il killer, o il serial killer, non aveva percorso le scale fino al quarto piano per uno di quegli «obiettivi».

Mostriamo al fratello una foto della scena del crimine, che non aveva mai visto e gli consente di esplorare l’umile appartamen­to; e gli mostriamo degli scritti di Tiziana, che parimenti ignorava. La foto è focalizzat­a sul cadavere; chi scattò l’immagine aveva delle esigenze tecniche e non inquadrò un dettaglio che ci fa tornare indietro. Ad altri degli otto delitti. Almeno due. E forse in compagnia di quanto Tiziana lasciò in stampatell­o su dei foglietti bianchi.

(1. Continua)

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Tiziana, uccisa nel 1976
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