PAGLIARANI E LA VITA SEGRETA DEL PARCO
«Anotte — scrive Bruno Pellegrino, fedele amico di questa rubrica — quando passeri e merli riposano e il primo raggio di luna guizza tra le increspature del laghetto, ecco che al riparo dell’interminabile cancellata ha inizio una seconda vita del parco Sempione. Il Napoleone III che cavalca sul Monte Tordo scende dal suo destriero e s’incammina verso la Triennale per scambiare due chiacchiere con l’Uomo di de Chirico, immerso nelle acque dei Bagni misteriosi. E intanto le panchine s’avviano coi loro piedini rugginosi lungo i vialetti dirette alla Torre del Parco dove si son date appuntamento per raccontarsi le storie di cui furono mute testimoni nel giorno trascorso. Storie di amori sbocciati… oppure sfioriti, di tenerezze o muti commiati. E tra i loro racconti ci sarà pure la pena d’amore evocata nei versi di Elio Pagliarani: “Sotto la torre, al parco, di domenica/con pacata follia per ore e ore/ immobile a guardarti”. A fine maggio sono passati 84 anni dalla nascita del poeta — mancato 9 anni fa — ma nessuno se n’è ricordato». Restando un attimo al Sempione, chissà l’invidia per queste passeggiate notturne da parte delle quattro sirenette del ponte (primo ponte di ferro mai realizzato in Italia) che, stufe di farsi toccare da quasi due secoli seni e sedere dai giovani di passaggio, al massimo possono fare un tuffo nel piccolo lago artificiale sottostante. Venendo a Elio Pagliarani, per molti anni critico teatrale di Paese Sera ma prima di tutto poeta, grazie a Bruno Pellegrino per averci rinfrescato la memoria. «La ragazza Carla», racconto in versi (pubblicato negli Elefanti di Garzanti) è forse la sua opera più suggestiva, nonostante il finale melanconico, o forse proprio per quello. Ma poesia chiama poesia: chi mai ha dimenticato il famosissimo verso di Giovanni Pascoli «O cavallina, cavallina storna che portavi colui che non ritorna»? Ebbene, leggenda vuole che alla lontana, il papà di Elio Pagliarani, di professione vetturino, fosse parente di tale Luigi Pagliarani accusato — ma sempre prosciolto — di aver assassinato il padre del poeta. Interrogata, la cavallina rispose («Sonò alto un nitrito»).