RAFFICHE DI INDIFFERENZA CI RENDONO PEGGIORI
Quante migliaia e migliaia di immagini ci scorrono davanti agli occhi nella vita? Ne tratteniamo una quantità minima, affastellate tra loro alla rinfusa. Per me tra le più recenti (coinquiline nuove di altre antiche) quei ripetuti strappi dal collo delle medaglie d’argento, uno dopo l’altro, uno dopo l’altro, da non crederci. Un’altra più vecchia, ma non persa immagine, è il giaciglio da cuccia di cane di un bracciante raccoglitore-per-infinite-ore di pomodori, con anche il sonoro che dice «che sogno (sottinteso sarebbe) un’acqua pulita». Sì, fermo immagine e anche fermo parole tra le migliaia milioni che ascoltiamo o leggiamo: «Domani mattina là ci vogliono le scimmie» è l’intercettazione telefonica tra caporali ricordata da Giusi Fasano in queste pagine, il 12 scorso. «Se vogliono acqua diamogli quella del canale». Quaranta gradi, sole implacabile, probabili crepuscoli con nugoli di zanzare, e dopo tredici quattordici ore di lavoro chini così, dell’acqua non potabile, cucce da cane o trasporto a pagamento in sgangherate baracche. Cose viste e riviste, lette e rilette, sapute e risapute, Fasano sottolinea che ormai ci scivolano addosso come acqua sull’impermeabile. Sì, siamo diventati tutti impermeabili. Ognuno a modo suo. Burberry e non Burberry, senza cappuccio o con cappuccio per chiuderci anche le orecchie. Allora, altra immagine fissa, l’enorme incisione, voluta da Liliana Segre, che ci accoglie all’entrata del Memoriale della Shoah: Indifferenza.