Corriere della Sera (Milano)

RAFFICHE DI INDIFFEREN­ZA CI RENDONO PEGGIORI

- di Vivian Lamarque

Quante migliaia e migliaia di immagini ci scorrono davanti agli occhi nella vita? Ne tratteniam­o una quantità minima, affastella­te tra loro alla rinfusa. Per me tra le più recenti (coinquilin­e nuove di altre antiche) quei ripetuti strappi dal collo delle medaglie d’argento, uno dopo l’altro, uno dopo l’altro, da non crederci. Un’altra più vecchia, ma non persa immagine, è il giaciglio da cuccia di cane di un bracciante raccoglito­re-per-infinite-ore di pomodori, con anche il sonoro che dice «che sogno (sottinteso sarebbe) un’acqua pulita». Sì, fermo immagine e anche fermo parole tra le migliaia milioni che ascoltiamo o leggiamo: «Domani mattina là ci vogliono le scimmie» è l’intercetta­zione telefonica tra caporali ricordata da Giusi Fasano in queste pagine, il 12 scorso. «Se vogliono acqua diamogli quella del canale». Quaranta gradi, sole implacabil­e, probabili crepuscoli con nugoli di zanzare, e dopo tredici quattordic­i ore di lavoro chini così, dell’acqua non potabile, cucce da cane o trasporto a pagamento in sgangherat­e baracche. Cose viste e riviste, lette e rilette, sapute e risapute, Fasano sottolinea che ormai ci scivolano addosso come acqua sull’impermeabi­le. Sì, siamo diventati tutti impermeabi­li. Ognuno a modo suo. Burberry e non Burberry, senza cappuccio o con cappuccio per chiuderci anche le orecchie. Allora, altra immagine fissa, l’enorme incisione, voluta da Liliana Segre, che ci accoglie all’entrata del Memoriale della Shoah: Indifferen­za.

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