Collezioni sotterranee
Da sabato il Museo della Scienza apre al pubblico per visite guidate le sue collezioni nascoste Dalla bicicletta di Fausto Coppi al banco di lavoro di Giulio Natta
Il Museo della Scienza apre i suoi depositi segreti
Chiamarli depositi? «Per carità no, sarebbe sminuirli”, dice Fiorenzo Galli, direttore del Museo Nazionale Scienza e Tecnologia Leonardo da Vinci. Meglio magazzini? «Peggio», replica pronto. Allora? Lui, flemmatico, si sposta per far intravedere la scritta sulla porta: eccolo il giusto titolo, riportato anche in inglese, «Collezioni di Studio». Al di là dei nomi, la pancia dei musei è da sempre zona invalicabile, vietata al grande pubblico. Non più (e chissà, magari servirà come esempio, tutti i musei hanno collezioni nascoste): a partire da questo fine settimana, fino al 28 agosto, ogni sabato mattina il cancelletto delle scale sotto al Padiglione Aeronavale si apre per visite guidate a piccoli gruppi. «Mostriamo il dietro le quinte del Museo che, più che in altre parti, mette in luce il lavoro di conservazione e di tutela che portiamo avanti da venti anni», spiega Galli. «II patrimonio tecnico-scientifico del Novecento del nostro Paese è immenso e purtroppo a forte rischio di dispersione», aggiunge, «macchinari, strumenti, oggetti di uso quotidiano, una volta dismessi vengono buttati. Noi invece li raccogliamo, cataloghiamo e valorizziamo».
Il percorso nel sotterraneo ha una partenza (volutamente) leggera, tutta dedicata alle due ruote. In fila, come pronte per una parata, bici da corsa ormai d’epoca — la fedele compagna di Fausto Coppi e la bici della vittoria di Lucien Petit-Breton, il primo ad aggiudicarsi la Milano-Sanremo, nel 1907; tandem che risalgono a inizio Novecento; bicicli e una Draisina ottocentesca senza pedali né freni (si spingeva con i piedi). Di fronte, quasi in competizione, sfilano i motocicli, con in testa i due siluri argento e rosso, le mitiche Vespa e Lambretta costruite a metà degli anni Cinquanta per battere i record di velocità (sulla RomaOstia la prima toccò i 175 chilometri all’ora, alle porte di Monaco di Baviera la collega raggiunse i 201.
Nel secondo ambiente, più simile a un archivio, con armadi e scaffalature nei corridoi, compaiono gli antenati di oggetti del quotidiano e i macchinari che hanno fatto la storia della tecnica. «Un contesto altrettanto vivo anche se meno suggestivo, in continua evoluzione, dove si intrecciano esperienze e competenze diverse e si studiano le nuove acquisizioni», sottolinea il responsabile dei Depositi, Marco Iezzi. Si cammina fra oscilloscopi, caldaie, lampioni a gas, un’inaspettata collezione di aspirapolvere Folletto, ferri da stiro per cappelli, proiettori, antichi registratori di cassa, prototipi di lavatrici Spicca il supercomputer americano Cray X-MP (anno di costruzione 1982), nascosto dentro a un divano circolare di pelle (il cablaggio corre sotto alle sedute).
Il pezzo da Novanta delle Collezioni di Studio? Aspetta il visitatore alla fine del percorso, non è per niente scenografico, ma ha un significato, storico e umano, che trascende l’estetica: è il banco da laboratorio di Giulio Natta, l’ingegnere che in 45 anni di lavoro conseguì 330 brevetti e che per i suoi studi nel campo della chimica e della tecnologia dei polimeri ottenne, nel 1963, il Premio Nobel per la Chimica.