Condannato a vent’anni l’anziano capo cosca
«A 70 anni vorrei non fare più la galera, ma se serve la faccio». Le minacce a chi non pagava i debiti, emerse dalle intercettazioni. Ora la condanna. Vent’anni di carcere per associazione mafiosa, traffico di rifiuti, usura, riciclaggio e frodi fiscali. È la pena inflitta dai giudici del tribunale di Milano al boss dell’ndrangheta lecchese Cosimo Vallelonga, 72 anni, a capo dell’organizzazione criminale (18 le ordinanze di custodia cautelare) sgominata a febbraio di quest’anno da Dia, Gico della Guardia di Finanza e Polizia di Lecco. Il verdetto con rito abbreviato, tre anni in più di quanto avesse chiesto il pm Paola Biondolillo, è stato pronunciato ieri nell’aula bunker di San Vittore. Insieme a Vallelonga condannati anche a 12 anni Vincenzo Marchio, il «braccio armato» di Vallelonga, e a otto anni e sei mesi Paolo Valsecchi. Contestata l’aggravante del metodo mafioso a Luciano Mannarino: per lui due anni e sei mesi. Pene tra dieci mesi e tre anni e nove mesi per gli altri imputati, in quattro hanno patteggiato. A far scattare l’indagine «CardineMetal Money» era stato un piccolo imprenditore lecchese sequestrato e minacciato con la canna di una pistola in bocca per costringerlo a pagare, proprio da Marchio e Vallelonga. L’anziano boss, già finito in carcere nelle maxi inchieste «I fiori della notte di San Vito» negli anni Novanta e «Infinito» del 2010, avrebbe ripreso in mano le redini della cosca dal negozio di arredamento di famiglia a La Valletta Brianza, diversificando i settori di interesse, includendo anche il traffico di rifiuti pericolosi. Il Gup ha condannato Vallelonga e altri tre affiliati a risarcire con 5.000 euro l’associazione Wikimafia. «Siamo molto soddisfatti della sentenza anche se si tratta solo del primo grado di giudizio. Rimane l’amarezza per essere stati gli unici a costituirci parte civile», le parole del presidente Pierpaolo Farina.