IL DUELLO TRA «POS» E MONETINE DI RAME
Parcheggio taxi: una signora di mezza età bussa allo sportello della prima macchina disponibile e chiede: «Pos?». Così, interrogativo secco. L’autista fa cenno di sì e la cliente, che evidentemente non ha denaro contante in tasca, sale. E ha fatto bene a informarsi perché non tutti i taxi sono dotati del «dispositivo elettronico che consente di effettuare pagamenti tramite l’utilizzo di carte di credito, carte di debito e carte prepagate». Pos, per chi non lo sapesse ancora, sta per «point of sale» e va gradatamente sostituendo il denaro contante, almeno a partire dai dieci euro. Dico gradatamente perché in Italia il rettangolino di carta plastificata è, sì, molto diffuso (addirittura secondo alcuni osservatori più che nel resto d’Europa) ma l’uso risulta ancora poco incisivo. Non so fino a che punto corrisponda a verità la cifra dei trequattro milioni di Pos circolanti nella nostra penisola; di certo c’è la difficoltà per molti di memorizzare il Pin, ossia il numero della propria carta di credito. Il Pin che serve a far funzionare il Pos (sembra un gioco di parole). Gli autori di ricerche di mercato ci dicono che i più diffidenti sono i pensionati. Comunque la progressiva affermazione del Pos anche in Italia ha, possiamo dire, un giusto obiettivo: quello di ridurre (almeno del 15 per cento) l’evasione fiscale. Ma farà scomparire anche gli spiccioli? Forse, chissà. Già oggi le monetine da 1,2 e 5 centesimi non sono gradite come obolo in chiesa (vedi il caso di Giussano), figuriamoci col diffondersi del Pos!