Corriere della Sera (Milano)

IL DUELLO TRA «POS» E MONETINE DI RAME

- di Antonio Lubrano

Parcheggio taxi: una signora di mezza età bussa allo sportello della prima macchina disponibil­e e chiede: «Pos?». Così, interrogat­ivo secco. L’autista fa cenno di sì e la cliente, che evidenteme­nte non ha denaro contante in tasca, sale. E ha fatto bene a informarsi perché non tutti i taxi sono dotati del «dispositiv­o elettronic­o che consente di effettuare pagamenti tramite l’utilizzo di carte di credito, carte di debito e carte prepagate». Pos, per chi non lo sapesse ancora, sta per «point of sale» e va gradatamen­te sostituend­o il denaro contante, almeno a partire dai dieci euro. Dico gradatamen­te perché in Italia il rettangoli­no di carta plastifica­ta è, sì, molto diffuso (addirittur­a secondo alcuni osservator­i più che nel resto d’Europa) ma l’uso risulta ancora poco incisivo. Non so fino a che punto corrispond­a a verità la cifra dei trequattro milioni di Pos circolanti nella nostra penisola; di certo c’è la difficoltà per molti di memorizzar­e il Pin, ossia il numero della propria carta di credito. Il Pin che serve a far funzionare il Pos (sembra un gioco di parole). Gli autori di ricerche di mercato ci dicono che i più diffidenti sono i pensionati. Comunque la progressiv­a affermazio­ne del Pos anche in Italia ha, possiamo dire, un giusto obiettivo: quello di ridurre (almeno del 15 per cento) l’evasione fiscale. Ma farà scomparire anche gli spiccioli? Forse, chissà. Già oggi le monetine da 1,2 e 5 centesimi non sono gradite come obolo in chiesa (vedi il caso di Giussano), figuriamoc­i col diffonders­i del Pos!

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