«Fatica, stipendi bassi e carriere bloccate: è crisi di vocazione»
Destrebecq: 1.400 al mese è meno della media europea
«Stipendi. Carriere. Carichi di lavoro. E in più c’è l’effetto Milano. Ecco perché mancano tanti infermieri: la nostra professione è sempre meno attrattiva. I posti nei corsi universitari ci sono, li abbiamo anche aumentati, ma non li abbiamo riempiti». Anne Destrebecq, presidente del Corso di Laurea in Infermieristica dell’Università Statale, va dritta al punto.
Partiamo dagli stipendi.
«I nostri infermieri sono pagati molto meno rispetto ai colleghi europei. Qui lo stipendio netto base è di 1450 euro al mese. E se poi pensi di lavorare a Milano devi mettere in conto anche il carovita di una città come questa, a partire degli affitti».
Altro punto è la carriera?
«Sì, in Italia non ci sono differenziazioni fra infermiere generalista e specializzato, che invece esistono negli altri Paesi, dal Belgio all’Inghilterra. E anche questo allontana i giovani dalla professione. Qui il trattamento economico è lo stesso per tutti. E non ci sono incentivi legati al merito».
Incidono sulle scelte anche i carichi di lavoro?
«È così. Sono assurdi. Fra tutte le professioni sanitarie quella dell’infermiere è la più pesante. Un fisioterapista per esempio lavora cinque giorni su sette, non fa le notti ed è libero nel fine settimana. Risultato? Tanti abbandonano. Sul Corriere della Sera avete raccontato nei giorni scorsi il caso di un’infermiera che si è dimessa dall’ospedale di Lodi, dopo 36 anni di servizio ha lasciato il posto di caposala per diventare segretaria. Non è un caso isolato. E tanti studenti rinunciano ancora prima di immatricolarsi all’università».
Può spiegare?
«Fra chi ha fatto domanda di ammissione, considerando anche solo chi ha indicato il corso di Infermieristica come prima scelta fra le altre professioni sanitarie, soltanto il 61% poi si iscrive. Oltre ai carichi di lavoro anche l’impegno richiesto durante gli studi è superiore, rispetto agli altri percorsi ci sono 900 ore in più nel triennio. Soltanto il 50% dei nostri studenti riesce a laurearsi nei tre anni canonici, gli altri ne impiegano 3,7 e c’è anche un 25% che abbandona il corso».
Anche quest’anno sono rimasti posti liberi a Infermieristica?
«Per il 2021/2022 in Lombardia sono stati riempiti al 94,5 per cento. Anche se le domande di ammissione erano più di tremila, per i quasi duemila posti disponibili fra atenei statali e non statali. Per il prossimo anno ci saranno ancora più posti, l’ordine professionale chiede di aumentare gli ingressi, fino al venti per cento. Alla Statale passiamo da 630 a 705 nuove matricole. Ma temiamo un flop. Il problema è appunto l’attrattività di questa professione».
Due anni di pandemia hanno spostato le scelte?
«Ci aspettavamo un calo come effetto Covid invece abbiamo registrato duecento domande di ammissione in più. Il punto è che poi si perdono, non diventano immatricolazioni. Ci sono studenti che non superano il test ma c’ è anche chi cambia idea, chi decide di iscriversi a Medicina, a Farmacia o altri corsi. Così non saturiamo i posti».
Succede soltanto a Infermieristica?
«No. Il dato che è emerso, insieme al nostro, è quello di alcune specialità di Medicina come Rianimazione e Malattie infettive. Problema generazionale pare, forse si evitano i lavori dove c’è più fatica. E su questo dovremmo interrogarci».
Due giorni fa è stata firmata una convenzione fra Statale e Fondazione Sacra Famiglia, che diventa sede universitaria, è la diciassettesima ma è una delle poche strutture di tipo sociosanitario.
"Se lavori a Milano devi mettere in conto anche il carovita, a partire dal costo degli affitti
«Nella formazione degli infermieri l’attenzione è sempre più su territorio, cronicità e terminalità. Da ottobre iniziano il corso lì i primi trenta studenti».