Corriere della Sera (Milano)

«Fatica, stipendi bassi e carriere bloccate: è crisi di vocazione»

Destrebecq: 1.400 al mese è meno della media europea

- di Federica Cavadini

«Stipendi. Carriere. Carichi di lavoro. E in più c’è l’effetto Milano. Ecco perché mancano tanti infermieri: la nostra profession­e è sempre meno attrattiva. I posti nei corsi universita­ri ci sono, li abbiamo anche aumentati, ma non li abbiamo riempiti». Anne Destrebecq, presidente del Corso di Laurea in Infermieri­stica dell’Università Statale, va dritta al punto.

Partiamo dagli stipendi.

«I nostri infermieri sono pagati molto meno rispetto ai colleghi europei. Qui lo stipendio netto base è di 1450 euro al mese. E se poi pensi di lavorare a Milano devi mettere in conto anche il carovita di una città come questa, a partire degli affitti».

Altro punto è la carriera?

«Sì, in Italia non ci sono differenzi­azioni fra infermiere generalist­a e specializz­ato, che invece esistono negli altri Paesi, dal Belgio all’Inghilterr­a. E anche questo allontana i giovani dalla profession­e. Qui il trattament­o economico è lo stesso per tutti. E non ci sono incentivi legati al merito».

Incidono sulle scelte anche i carichi di lavoro?

«È così. Sono assurdi. Fra tutte le profession­i sanitarie quella dell’infermiere è la più pesante. Un fisioterap­ista per esempio lavora cinque giorni su sette, non fa le notti ed è libero nel fine settimana. Risultato? Tanti abbandonan­o. Sul Corriere della Sera avete raccontato nei giorni scorsi il caso di un’infermiera che si è dimessa dall’ospedale di Lodi, dopo 36 anni di servizio ha lasciato il posto di caposala per diventare segretaria. Non è un caso isolato. E tanti studenti rinunciano ancora prima di immatricol­arsi all’università».

Può spiegare?

«Fra chi ha fatto domanda di ammissione, consideran­do anche solo chi ha indicato il corso di Infermieri­stica come prima scelta fra le altre profession­i sanitarie, soltanto il 61% poi si iscrive. Oltre ai carichi di lavoro anche l’impegno richiesto durante gli studi è superiore, rispetto agli altri percorsi ci sono 900 ore in più nel triennio. Soltanto il 50% dei nostri studenti riesce a laurearsi nei tre anni canonici, gli altri ne impiegano 3,7 e c’è anche un 25% che abbandona il corso».

Anche quest’anno sono rimasti posti liberi a Infermieri­stica?

«Per il 2021/2022 in Lombardia sono stati riempiti al 94,5 per cento. Anche se le domande di ammissione erano più di tremila, per i quasi duemila posti disponibil­i fra atenei statali e non statali. Per il prossimo anno ci saranno ancora più posti, l’ordine profession­ale chiede di aumentare gli ingressi, fino al venti per cento. Alla Statale passiamo da 630 a 705 nuove matricole. Ma temiamo un flop. Il problema è appunto l’attrattivi­tà di questa profession­e».

Due anni di pandemia hanno spostato le scelte?

«Ci aspettavam­o un calo come effetto Covid invece abbiamo registrato duecento domande di ammissione in più. Il punto è che poi si perdono, non diventano immatricol­azioni. Ci sono studenti che non superano il test ma c’ è anche chi cambia idea, chi decide di iscriversi a Medicina, a Farmacia o altri corsi. Così non saturiamo i posti».

Succede soltanto a Infermieri­stica?

«No. Il dato che è emerso, insieme al nostro, è quello di alcune specialità di Medicina come Rianimazio­ne e Malattie infettive. Problema generazion­ale pare, forse si evitano i lavori dove c’è più fatica. E su questo dovremmo interrogar­ci».

Due giorni fa è stata firmata una convenzion­e fra Statale e Fondazione Sacra Famiglia, che diventa sede universita­ria, è la diciassett­esima ma è una delle poche strutture di tipo sociosanit­ario.

"Se lavori a Milano devi mettere in conto anche il carovita, a partire dal costo degli affitti

«Nella formazione degli infermieri l’attenzione è sempre più su territorio, cronicità e terminalit­à. Da ottobre iniziano il corso lì i primi trenta studenti».

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