Corriere della Sera (Milano)

VEDOVA DEL TERRORISMO LA LEZIONE DI UNA MADRE

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Caro Schiavi, ci sono donne speciali rimaste vedove troppo presto. Questo succede perche donne così speciali si uniscono a uomini altrettant­o speciali. E siccome questi uomini servono con passione e lealtà le nostre istituzion­i accade che questi uomini vengano uccisi. Questa è la storia della mia mamma, Maria Violante, moglie di Francesco Di Cataldo, vicecomand­ante del carcere di San Vittore, assassinat­o dalle Brigate Rosse il 20 aprile 1978. La mamma l’altro giorno, all’età di 92 anni, ci ha lasciato. Allora, 44 anni fa, restò vedova e barcollò parecchio. Ma nel tempo sorprenden­temente — e analogamen­te ad altre vedove di caduti per il terrorismo — ha trasformat­o quella terribile violenza subita nel suo contrario. La volontà di capire perché il marito le fu tolto in quel modo, con quel desiderio di morte, anziché accumulare risentimen­to e odio, la convertì in amore per la vita. E piu passavano gli anni piu quel desiderio di apertura verso gli altri è aumentato. Amore unito ad un senso del dovere estremo, per noi figli, per i nipoti, per tutti. Nel condominio di Crescenzag­o, dove ancora abitava, se non la vedevano per mezzora scattava la massima allerta. Telefonate concitate a me e a mia sorella Paola: dov’è la Maria? È successo qualcosa?

Alberto di Cataldo

Caro Di Cataldo, quanta inutile violenza in quegli anni di piombo e delle stragi a Milano. E quante vittime, e famiglie lacerate dal dolore, e donne rimaste sole. Maria Violante vedova Di Cataldo, come Licia Pinelli, Gemma Calabresi, Wanna Marangoni, Annalori Ambrosoli, Paola Alessandri­ni, Bianca Galli, Maristella Tobagi… La vita che non si stanca di ricomincia­re, i figli, il dolore, la discrezion­e, la solidariet­à, la fede che non toglie la sofferenza ma può darle un significat­o e una prospettiv­a.

Sua madre ha riempito di senso quei 44 anni senza il marito, assassinat­o dai brigatisti della colonna Walter Alasia mentre aspettava il filobus a due passi da casa. A lui è intitolato il carcere di San Vittore e se oggi è difficile spiegare a un giovane chi era il maresciall­o Di Cataldo ci deve essere ancora un video in rete, intitolato «Per questo mi chiamo Francesco».

L’ha realizzato il nipote, intervista­ndo la nonna e riconoscen­dosi in quei valori che non piacevano ai terroristi. Responsabi­lità e speranza, ecco che cosa hanno lasciato sua madre e altre vedove, note e meno note, di allora. Sentimenti che resistono, da Crescenzag­o al mondo.

gschiavi@rcs.it

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