«La didattica creativa evita classi-ghetto» Ma lascia il quartiere un alunno su tre
Il dossier sulle iscrizioni e le ricette virtuose
Famiglie italiane che non iscrivono i propri figli alla scuola di quartiere, per l’alta presenza di alunni stranieri. E così si creano scuole «ghetto». È il fenomeno del «White flight», comune nelle metropoli. Milano non fa eccezione e se ne è parlato ieri al convegno «Quale scuola? La scelta delle famiglie e la rete scolastica» promosso dal Comune di Milano e dal Politecnico, dove sono state presentati, invece, casi di successo e strategie per contrastare questa tendenza. Nelle scuole milanesi, all’infanzia la quota di stranieri raggiunge il 40 per cento, alle primarie e alle medie va dal 26 al 28 per cento.
Guardando alle scelte dei genitori, un monitoraggio del Politecnico dice che il 42 per cento sceglie per i propri figli la scuola di quartiere, il 34 un’altra scuola statale non di bacino, il 23 per cento va in una privata. Le famiglie straniere invece optano per la scuola di quartiere nel 56 per cento dei casi o per un’altra statale (39 per cento). Solo il 4,8 va in una privata. «Tra il 2015 e il 2019 non ci sono cambiamenti nelle tendenze generali, ma vediamo un aumento nelle iscrizioni alle elementari private, dove il 95 per cento della popolazione è composta da italiani. È quasi un fenomeno inverso, di auto-segregazione. Milano è una città sempre più globale e multietnica. Invece loro frequentano le lezioni in un contesto totalmente omogeneo» spiega Costanzo Ranci, docente del Politecnico. Ma la ricerca individua anche casi in controtendenza: «Scuole di periferia in cui c’è una riduzione della presenza straniera e un aumento di italiani». Sono quelle che adottano metodi didattici innovativi: il metodo Montessori o Pizzigoni, l’indirizzo musicale, potenziamenti d’inglese e altro ancora. Tra gli esempi, la nuova media al quartiere Adriano, la scuola Viscontini, l’icArcadia. Tra le testimonianze, quella di Milena Piscozzo, preside alla Riccardo Massa al Gallaratese. «Le scuole di periferia cambiano spesso pelle. La nostra dopo lo spostamento del campo rom ha molti meno allievi stranieri, ma abbiamo diversi minori ospiti di comunità di accoglienza, con altre fragilità. Spesso le scuole di periferia sono associate a una narrazione di pericolo, invece è qui che sono nate importanti sperimentazioni, proprio perché hanno bisogno di motivare gli studenti. Occorre una contro-narrazione. E dare incentivi a chi sceglie di restarci: docenti o dirigenti».