Don Mazzi, festa con i «colleghi» Sogni e nuove sfide da prete di strada
Gli amici storici e i suoi ragazzi in Sant’Ambrogio
I tatuaggi tribali dei «suoi» ragazzi nella solennità religiosa della Basilica di Sant’Ambrogio. Don Antonio Mazzi ha voluto festeggiare così il compleanno numero 93. Circondato da generazioni di educatori, di giovani ed ex giovani passati dalla comunità Exodus e, soprattutto, attorniato sull’altare dai «colleghi»: altri preti di strada, quelli che come lui hanno investito la fede nel tentativo di correggere destini precocemente avvelenati. Sono tutti lì, ad accompagnare la celebrazione di monsignor Carlo Faccendini, abate di Sant’Ambrogio, ci sono don Gino Rigoldi (fondatore di Comunità nuova e di molto altro), don Virginio Colmegna (storico direttore della Casa della Carità), don Claudio Burgio (cappellano del carcere minorile Beccaria), don Antonio Loi (che a lungo ha operato del Carcere di Opera), don Miguel Tofful (ex Casante Opera Don Calabria) e poi don Antonio Sciortino (ex direttore Famiglia Cristiana), don Giusto Truglia e don Giovanni Conti.
Nonostante l’ora (le 16) di un pomeriggio feriale, le panche della basilica sono piene. Ci sono molti giovani e meno giovani che hanno conosciuto e frequentato don Mazzi in momenti difficili delle loro vite, ma ci sono anche cittadini, compagni di strada e amici del mondo della politica, dell’economia e della cultura, come l’assessore regionale al Welfare Guido Bertolaso, il presidente e ad di Rcs Urbano Cairo, il direttore del Corriere Luciano Fontana e altri giornalisti che hanno seguito l’attività del sacerdote nel recupero dei giovani caduti nella trappola delle droghe.
«Quando Exodus è partito, negli anni Settanta-Ottanta voleva dimostrare che si può rieducare e affrontare un problema grave come quello delle droghe senza metodi particolari, repressivi e terapeutici, ma solo vivacizzando le modalità educative normali — dice don Mazzi quando gli viene offerto il microfono per l’omelia —. Dopo 40 anni, vorrei che il sogno non si fermasse al recupero dei disperati, ma che si aprisse all’intera società, digiuna di valori e di vitamine interiormente ricostituenti, ricca solo di uomini-fotocopia. Vogliamo anzi dobbiamo allargarci, uscire dalle strutture e battere le strade educative ed evangeliche suggerite da papa Francesco. Dobbiamo inventarci cellule diverse che si innestano in questo mondo, per testimoniare che l’uomo vero non può essere la fotocopia delle commedie nelle quali, purtroppo, vive suo malgrado».
L’obiettivo — perché c’è sempre un nuovo obiettivo nei discorsi dei preti di strada — è «riuscire a fare sempre meglio quello che facciamo, con scopi più socio-politici; il passaggio da “sassolini nelle scarpe” a “cellule vitali” non è facile». E ancora: «Le contraddizioni e la stanchezza, si vincono camminando. Dobbiamo andare nelle piazze non solo perché dobbiamo combattere le dipendenze, ma per dimostrare che siamo figli della stessa storia ma vissuta diversamente e che gli uomini veri esistono ancora».
Prima del lunghissimo abbraccio collettivo ai piedi dell’altare, don Mazzi parla di una nuova iniziativa, a 93 anni «domani» per lui è così: «Seminare speranze, goderci l’essenzialità e accogliere chi desidera salire sul nostro carro per fare cammini diversi. Fondazione di partecipazione vuol dire tutto e solo questo. Aspetto amici di ogni tipo, perché amo la varietà».