LA RETE ONCOLOGICA LOMBARDA E LE DOTTORESSE DIMENTICATE
Caro Schiavi, desidero stigmatizzare il comportamento maschilista della Regione Lombardia che nomina, con delibera ad hoc, solo uomini alla gestione della Rete oncologica lombarda, non considerando che la attività oncologica regionale ha nelle donne la maggior forza lavoro, con importanti eccellenze. Mi auguro che sia una dimenticanza, se così non fosse sarebbe veramente grave.
Alberto Scanni
Caro Scanni, ho cercato conferma alla sua segnalazione e purtroppo l’ho trovata nel decreto numero 1405 dell’11 ottobre 2022. Effettivamente l’organismo di coordinamento che regola la rete oncologica di Regione Lombardia è una successione di nomi maschili, certamente autorevoli e con ruoli direttivi nei rispettivi ospedali pubblici e convenzionati, nessun dubbio, ma di donne nemmeno l’ombra. Non voglio pensar male, come suggeriva causticamente una vecchia volpe della politica, e cerco di propendere per lo strabismo di fondo che spesso accompagna la compilazione di elenchi per commissioni o giurie in cui solo alla fine ci si accorge, guarda caso, «che non c’è nemmeno una donna». Senza invocare quote specifiche o equilibrismi di genere, quel che lei sottolinea — da ex primario di Oncologia ed ex direttore di importanti ospedali tra i quali l’Istituto dei Tumori — è la mancata attenzione al ruolo delle donne in oncologia, con posizioni negli ultimi anni sempre più importanti, ma non sempre valorizzate negli organismi di rappresentanza.
Sono anch’io come lei convinto che le donne in medicina, nel campo della lotta ai tumori in particolare, abbiano conquistato la giusta parità, contro i pregiudizi e con competenze non certo inferiori. Mi auguro che non ci sia nessuna conventio ed excludendum, anche perché nel riequilibrio professionale che ha portato le donne a iscriversi in numeri sempre più alti alle facoltà di Medicina si nota un significativo passo avanti nell’attenzione al lato umano della malattia, con una visione più completa, sia assistenziale che della vita. Nella lotta ai tumori non è sempre stato così, professione e carriera hanno sempre preteso una dedizione totale, quasi sovrumana per fatica. Alle poche donne in corsia veniva chiesto un impegno che, per essere competitivo, rendeva difficile o proibitiva la maternità. Per fortuna l’apartheid è finita, e la sanità ne ha tratto beneficio. È opportuno ricordarlo, con garbo, anche alla Regione, per non far scontare alle donne il fatto di essere donne.