Corriere della Sera (Milano)

La città del disco estinto

Dopo l’addio di Buscemi, mappa ragionata dei negozi che non esistono più

- Di Roberto Rizzo

Adesso che Buscemi ha annunciato la chiusura dopo 50 anni di attività, cosa resta a Milano per quei pochi che ancora sono alla ricerca di un disco o un cd per ascoltare musica? Poco. Lo stoico Psycho, specializz­ato in ogni sfumatura di rock alternativ­o, che resiste in via Zamenhof; l’obliquo (ci si trova di tutto, ma anche niente a dire il vero) Massive di via Fara sorto sulle ceneri di Fridge; gli empori dell’usato Discomane (Navigli) e Metropolis (in via Esterle); Dischivola­nti (ancora Navigli), bottega con prezzi da gioielleri­a, e Serendeepi­ty, musica elettronic­a, in corso di Porta Ticinese. «Chi compra ancora musica fisica è una nicchia di appassiona­ti. Per il resto è un mercato finito», spiegava proprio Mario Buscemi. Innegabile: lo streaming è una grande invenzione che porta qualsiasi discografi­a nei nostri telefoni, pc, autoradio. Ovunque.

C’è stato un tempo, gli anni 80 e i 90, che corrispond­ono al boom dell’hi-fi domestico, durante i quali i negozi di dischi disegnavan­o la topografa cittadina. Che tempi quando, il sabato pomeriggio, proprio da Buscemi, si faceva la coda per entrare. La richiesta di un 33 o di un 45 giri faceva la differenza: Mario Buscemi approvava o disapprova­va, con uno sguardo. I negozi di dischi, come ben raccontato in «Alta Fedeltà», il romanzoman­ifesto di Nick Hornby (anno 1995), erano luoghi di incontro, dove sono nate band, amicizie e storie d’amore. Sembra strano, oggi che Buscemi chiude, ma a pochi metri dalle sue vetrine c’era il Bigi. Meno fornito, ma con una sua funzione: quel che non si trovava da Buscemi c’era da Bigi e viceversa. Nel 1997 Antonio Albanese girò una scena del film «Un uomo di acqua dolce» all’interno di Rasputin, in viale Montenero. Il negozio più folle di Milano era New

Zabriskie Point in via Santa Maria della Valle. Fornitissi­mo di materiale punk e hardcore era gestito da Stiv Valli che aveva una strana concezione degli orari di apertura. La scena più frequente erano le decine di persone in attesa davanti alle serrande abbassate aspettando l’arrivo del proprietar­io. New Zabriskie raccolse l’eredità di New Kary, che avendo sede in piazza San

Giorgo, uno dei primi ritrovi punk, doveva soddisfare una clientela che chiedeva Sex Pistols e Ramones anche se il gestore spingeva il primo album di una band esordiente, gli U2. In via Dogana c’era Transex, specializz­ato in metal. Metallari che trovavano soddisfazi­one anche nelle due sedi di Mariposa: nel mezzanino del metrò Duomo e in corso di Porta Romana prima, in corso Lodi poi. Mariposa era curiosamen­te fornitissi­mo di metal e dance, al punto da avere uno spazio per l’ascolto riservato ai dj. Ma se uno sventurato entrava chiedendo «l’ultimo disco di Renato Zero», veniva messo alla porta con ignominia. Non brillavano per simpatia nemmeno quelli di Supporti Fonografic­i in corso di Porta Ticinese, dal 1984 al 2005 specializz­ato in new wave e post punk. Negli anni Ottanta via Marghera era già una strada di ristoranti e pizzerie. Stretto tra un piatto di spaghetti alle vongole e una margherita c’era il minuscolo Bonaparte Dischi. Lo struscio in centro aveva come tappe fisse le Messaggeri­e Musicali (corso Vittorio Emanuele) e Ricordi (in Galleria). Negozi frequentat­i per lo più da acquirenti occasional­i, quelli che compravano un disco all’anno, di solito Vasco Rossi o Michael Jackson. Vita breve hanno avuto Virgin (Duomo) e Fnac (via Torino), aperti quando il mondo stava già cambiando. Erano i primi Duemila e la musica non sarebbe più stata la stessa.

Dietro il bancone

Chi compra musica su un supporto fisico è una nicchia di appassiona­ti. Per il resto è un mercato finito

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All’ascolto Serendeepi­ty , specializz­ato in musica elettronic­a

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