La città del disco estinto
Dopo l’addio di Buscemi, mappa ragionata dei negozi che non esistono più
Adesso che Buscemi ha annunciato la chiusura dopo 50 anni di attività, cosa resta a Milano per quei pochi che ancora sono alla ricerca di un disco o un cd per ascoltare musica? Poco. Lo stoico Psycho, specializzato in ogni sfumatura di rock alternativo, che resiste in via Zamenhof; l’obliquo (ci si trova di tutto, ma anche niente a dire il vero) Massive di via Fara sorto sulle ceneri di Fridge; gli empori dell’usato Discomane (Navigli) e Metropolis (in via Esterle); Dischivolanti (ancora Navigli), bottega con prezzi da gioielleria, e Serendeepity, musica elettronica, in corso di Porta Ticinese. «Chi compra ancora musica fisica è una nicchia di appassionati. Per il resto è un mercato finito», spiegava proprio Mario Buscemi. Innegabile: lo streaming è una grande invenzione che porta qualsiasi discografia nei nostri telefoni, pc, autoradio. Ovunque.
C’è stato un tempo, gli anni 80 e i 90, che corrispondono al boom dell’hi-fi domestico, durante i quali i negozi di dischi disegnavano la topografa cittadina. Che tempi quando, il sabato pomeriggio, proprio da Buscemi, si faceva la coda per entrare. La richiesta di un 33 o di un 45 giri faceva la differenza: Mario Buscemi approvava o disapprovava, con uno sguardo. I negozi di dischi, come ben raccontato in «Alta Fedeltà», il romanzomanifesto di Nick Hornby (anno 1995), erano luoghi di incontro, dove sono nate band, amicizie e storie d’amore. Sembra strano, oggi che Buscemi chiude, ma a pochi metri dalle sue vetrine c’era il Bigi. Meno fornito, ma con una sua funzione: quel che non si trovava da Buscemi c’era da Bigi e viceversa. Nel 1997 Antonio Albanese girò una scena del film «Un uomo di acqua dolce» all’interno di Rasputin, in viale Montenero. Il negozio più folle di Milano era New
Zabriskie Point in via Santa Maria della Valle. Fornitissimo di materiale punk e hardcore era gestito da Stiv Valli che aveva una strana concezione degli orari di apertura. La scena più frequente erano le decine di persone in attesa davanti alle serrande abbassate aspettando l’arrivo del proprietario. New Zabriskie raccolse l’eredità di New Kary, che avendo sede in piazza San
Giorgo, uno dei primi ritrovi punk, doveva soddisfare una clientela che chiedeva Sex Pistols e Ramones anche se il gestore spingeva il primo album di una band esordiente, gli U2. In via Dogana c’era Transex, specializzato in metal. Metallari che trovavano soddisfazione anche nelle due sedi di Mariposa: nel mezzanino del metrò Duomo e in corso di Porta Romana prima, in corso Lodi poi. Mariposa era curiosamente fornitissimo di metal e dance, al punto da avere uno spazio per l’ascolto riservato ai dj. Ma se uno sventurato entrava chiedendo «l’ultimo disco di Renato Zero», veniva messo alla porta con ignominia. Non brillavano per simpatia nemmeno quelli di Supporti Fonografici in corso di Porta Ticinese, dal 1984 al 2005 specializzato in new wave e post punk. Negli anni Ottanta via Marghera era già una strada di ristoranti e pizzerie. Stretto tra un piatto di spaghetti alle vongole e una margherita c’era il minuscolo Bonaparte Dischi. Lo struscio in centro aveva come tappe fisse le Messaggerie Musicali (corso Vittorio Emanuele) e Ricordi (in Galleria). Negozi frequentati per lo più da acquirenti occasionali, quelli che compravano un disco all’anno, di solito Vasco Rossi o Michael Jackson. Vita breve hanno avuto Virgin (Duomo) e Fnac (via Torino), aperti quando il mondo stava già cambiando. Erano i primi Duemila e la musica non sarebbe più stata la stessa.
Dietro il bancone
Chi compra musica su un supporto fisico è una nicchia di appassionati. Per il resto è un mercato finito