Limitare l’offerta di affitti brevi «Ora serve una legge nazionale»
Airbnb risponde: siamo d’accordo, ma qui non possono esserci regole diverse
Nessuna sorpresa in casa Airbnb per la proposta dell’assessore Pierfrancesco Maran di chiedere al governo che, come Venezia, «Milano possa regolamentare un’offerta che è arrivata a ormai 15 mila appartamenti, il doppio di quelli pianificati in edilizia convenzionata, e che bisogna cercare di ridurre tutelando chi affitta solamente una casa. Ma riducendo tutti gli altri casi di aziende che affittano parecchie abitazioni». La piattaforma americana — che in città ha quasi 19 mila tra appartamenti interi e camere singole da mettere sul mercato per locazioni brevi, di cui oltre 15 mila sono case intere — sposa l’idea che ci possa essere un freno ma, con Valentina Reino, responsabile delle politiche pubbliche di Airbnb per l’Italia, avverte: «Serve una legge nazionale che uniformi le misure in tutta Italia. Bisogna evitare che Milano abbia una sua regolamentazione che è diversa da quella di Venezia che a sua volta è diversa da quella di Firenze o Roma». Perché anche Airbnb è d’accordo sulla necessità di «trovare una soluzione tra le esigenze dei residenti e il turismo crescente» ma questo va fatto con «regole che non siano diverse da città a città e che tutelino i piccoli proprietari».
Il modello è quello che la stessa piattaforma ha proposto in una convention a Roma, e si basa su una «registrazione obbligatoria a livello nazionale con un codice identificativo dell’appartamento — che oggi viene fornito dalla Regione ma in prospettiva sarà nazionale — con la conseguente condivisione dei dati così da consentire di fare i controlli. E in caso di violazioni l’appartamento viene rimosso dalla piattaforma», spiega Reino. «Un altro passaggio — aggiunge — è la mappatura delle zone. Il tutto con l’obiettivo di tutelare i piccoli proprietari che hanno immobili di famiglia da affittare». Lo stesso obiettivo che ha Maran, che nella prima giornata del Forum dell’Abitare, ha detto chiaramente di «voler tutelare i piccoli proprietari che hanno un secondo alloggio» e, al contrario, di voler frenare «i grandi player». Su questo punto, Reino chiarisce: «Bisogna distinguere tra property manager, cioè i grandi player che gestiscono per conto del proprietario, e i proprietari di casa. Sulla nostra piattaforma si vede se l’annuncio è gestito da loro o da chi ne ha la proprietà. Ad ogni modo, la maggior parte degli host sono persone che hanno una stanza nella propria prima casa o hanno un secondo immobile di famiglia che danno in gestione al property manager. Spesso — conclude Reino — accade che se il property manager gestisce dieci case, queste sono di dieci diversi proprietari che hanno, a loro volta, un solo immobile da affittare».
Ma la mappa milanese degli Airbnb parla chiaro, con una densità particolarmente elevata a Porta Venezia, con 1.511 alloggi, seguita da «NoLo» (Loreto, via Padova e viale Monza) con 1.308; al terzo posto zona Duomo con 1.152 case per locazioni brevi e, infine, i Navigli con 868 case (Brera e Isola seguono a ruota con, rispettivamente, 804 e 644 alloggi). Da «Nolo» arriva, dal comitato «Abitare in via Padova», la «Carta dei diritti degli abitanti per una Milano orizzontale» che chiede «quattro mosse dal basso» per affrontare il tema casa nel quartiere. A partire dalla «regolamentazione degli affitti brevi» e in questo senso il lodo Maran è, per il Comitato, «un primo passo su cui iniziare a ragionare». Altre iniziative che il comitato suggerisce sono «l’Osservatorio pubblico permanente dell’Abitare; l’aumento degli oneri di urbanizzazione rimasti a lungo molto bassi; una rivisitazione del modello dell’housing sociale e studentesco a favore di soluzioni di locazioni d’affitto a canone calmierato, abbassando le soglie di reddito a chi ne ha bisogno». In più, «serve un potenziamento dell’offerta pubblica a lavoratori precari, migranti e studenti attraverso la ristrutturazione di edifici dismessi, pubblici o privati».