Bentornati a Casa Verdi
Rinnovato il percorso espositivo, con i cimeli radunati nella «villetta»
Anche a non credere alla numerologia, o a non prestare attenzione alle coincidenze, la reiterazione del numero 27, che a Casa Verdi, la residenza di riposo per i musicisti, nominano di sfuggita per la paura che se ne faccia un caso, suscita impressione. I fatti: 27 sono le opere che Giuseppe Verdi ci ha lasciato; 27 gennaio 1901 è la data di morte del maestro; 27 febbraio è il giorno in cui la sua salma fu traslata dal Cimitero Monumentale alla tomba nell’edificio di piazza Buonarroti (un funerale con 300 mila persone). E ora, a 27 mesi esatti dalla chiusura (se ne sono accorti a cose fatte), Casa Verdi riapre le porte ai visitatori. Fine della storia. Perché il primo giorno in cui la Casa torna a essere visitabile — lo sarà ogni mercoledì pomeriggio, con la ripresa di «Aperti per Voi», l’iniziativa con i volontari del Touring Club Italiano — è il 22, oggi, che spezza il gioco dei numeri.
La lunga chiusura al pubblico (causa Covid) ha permesso alla «Casa di Riposo per Musicisti Fondazione Giuseppe Verdi» (il nome completo) di riorganizzare il percorso espositivo, «con nuovi allestimenti che gli conferiscono l’aspetto di spazio museale», sottolinea la curatrice Biancamaria Longoni. Si faccia avanti, quindi, anche chi l’aveva già visitata (20 mila persone dal 2015, anno di inizio della collaborazione con il Tci, al 2020), perché c’è la certezza di trovare novità. I presti cimeli verdiani (il maestro lasciò alla Casa patrimonio, diritti d’autore delle sue opere e oggetti personali) e alcune raccolte musicali storiche sono stati accorpati nei nuovi ambienti della «villetta», l’edificio staccato dal corpo principale dove abitavano il medico, le suore e il direttore generale, oggi riservato all’ospitalità di giovani che studiano musica in città. «Ai ragazzi abbiamo dato un piano rinnovato, così per l’esposizione disponiamo di ambienti collegati che rendono l’esperienza di visita più interessante, a cui si accede dal suggestivo scalone di marmo», spiega il presidente della fondazione Roberto Ruozi (fra l’altro ex presidente Tci).
Nel «museo» spicca l’iconico ritratto di Verdi di Giovanni Boldini, «il quadro fu realizzato a Parigi nel 1886, è il Verdi maturo che campeggiava sulle banconote delle mille lire di una volta», in mezzo a strumenti — la spinetta del ’500 che suonava a Busseto e il fortepiano della gioventù —; buziosi e quadri di Filippo Palizzi, Domenico Morelli, Achille Formis; onorificenze; vestiti; le planimetrie dell’architetto Camillo Boito; un taccuino con ottanta pagine autografe e perfino copia del testamento. Resta ancora vietato l’accesso (per sicurezza verso i 50 ospiti anziani) alla Sala araba e al Salone d’onore, ma c’è il via libera alla meravigliosa cripta, ornata di mosaici e bronzi, dove riposa il compositore insieme alla moglie Giuseppina Strepponi (gossip finale: a pagare le decorazioni fu la soprano Teresa Stolz, «amica intima» di Verdi).
Da vedere
Tra ritratti e autografi anche la spinetta che suonava a Busseto e un antico fortepiano