«Fare il barman non è un ripiego Oggi lo stipendio arriva a 3mila euro»
Vanzan, il re dei cocktail: formerò 300 giovani
Uno shaker nelle sue mani diventa subito un trofeo. Da dietro il bancone, infatti, Bruno Vanzan ha collezionato più di cento coppe. Un palmarès di tutto rispetto per il fuoriclasse del mixology, classe 1986, romano di nascita ma milanese di adozione. Due volte campione del mondo, a Torino nel 2008 come miglior flair (la creazione di un cocktail, ndr) e a Tokio nel 2016 per il miglior cocktail. «Mi sento milanese anche se amo la mia città di origine — racconta Vanzan —. La separazione dei miei genitori ha steso però una nebbia sui ricordi di infanzia. Milano, adesso, è la mia città».
Il re dei bartender ora è approdato a Sesto San Giovanni che diventa il suo palco: «Era il mio sogno — racconta Vanzan parlando della sua Bruno Vanzan Academy, dove si impara a fare un caffè d’eccellenza e un cocktail d’autore —. Ho fatto la scuola aeronautica per far piacere al papà, intanto lavoravo nel bar sotto casa. Due soldi facevano comodo. Erano i tempi degli american bar. Tra una tazzina e uno “spruzzato” ho capito che dietro il banco c’erano dei sogni da realizzare».
Forte dei suoi trofei e con un’anima imprenditoriale Vanzan ha creato, oltre a cocktail da primato, occasioni di crescita. «Sono un nomade di natura — prosegue —. Ho girato il mondo per lavoro. Ogni bar è un’esperienza. Ho fatto tanti corsi, tante scuole. Fare il giocoliere, dietro il bancone, con bottiglie e bicchieri è un percorso di vita. Il bartender è un po’ artista e un po’ artigiano. Creare un bicchiere che dà felicità vale una seduta dallo psicologo. Noi insegniamo il gusto e il piacere del bere bene e con senso: una sbronza sta al nostro lavoro come un’abbuffata ai piatti di uno chef stellato».
Oltre alla divisa da bartender, Bruno Vanzan, forte della sua esperienza, sa indossare la giacca del manager: «Sono stato due anni in Africa, a Nairobi, a gestire la miscelazione in una grande discoteca, un anno a Las Vegas, poi ho viaggiato tra India, Singapore e in tutta Europa: lavorare all’estero dà una marcia in più. In giro per il mondo si fanno degli incontri che possono cambiare la vita. Infatti ho potuto conoscere e frequentare Cristian Del Pech, il mio idolo, il maestro dei maestri».
Vanzan ha le idee chiare sul senso del mestiere: «Mi sono sempre battuto affinché la nostra professione sia una scelta e non un ripiego, soprattutto per i giovani che si avvicinano a questo mondo. Per essere un bartender bisogna amare questo lavoro, studiare molto, sudare tanto e avere un pizzico di genialità: le ricette vanno capite e interpretate. Si parte dagli ingredienti e poi si aggiunge quel tocco in più che fa sognare. È il tocco personale, quella magia che ti consegna lo scettro». Quanto si guadagna dietro il bancone? «Un giovane bartender ha uno stipendio base intorno a 1.800 euro al mese. Ma, se fa carriera, con attribuzioni di maggior responsabilità, se diventa bar manager, allora la busta paga può sfiorare i 3.000 euro». A Milano i drink costano cari. «Non è così — risponde —. Per un drink si possono spendere due soldi oppure anche 150 euro. A parte i costi fissi che variano in base al locale, è la qualità del servizio e degli ingredienti a fare la differenza. Un gin tonic, per esempio, si può fare con pochi euro ma ci sono bottiglie con cifre a tre zeri. È il cliente che sceglie. La qualità, l’eccellenza, come in ogni campo, hanno un prezzo».
Nell’Accademia di Sesto San Giovanni si impara anche a fare anche a gestire un locale. Alla postazione didattica si affianca una parete di bottiglie preziose, la sala riunioni diventa aula per i manager del futuro e poi c’è l’angolo degustazione, riservato a sole sei persone, per assaggiare un cocktail di nuova creazione o imparare a riconoscere un drink fatto ad arte: «La Bruno Vanzan Academy rappresenta la mia personalità — dice il campione dei barman —. Accoglieremo i veri intenditori e allo stesso tempo faremo scuola. Questa è una vera e propria università del settore. Ogni anno formeremo almeno 300 giovani che avranno un futuro professionale sicuro. Ma il mio traguardo è anche un altro. Lavorare sul quartiere, far sì che qualche giovane la smetta con il cosiddetto “binge drinking” ( l’abbuffata alcolica, ndr ) ora purtroppo tanto di moda. Insegnare il gusto del bere di qualità, soprattutto con moderazione, equivale a insegnare il gusto di vivere. È una nuova e grande sfida, riuscirci sarà per me un altro successo. Ci provo».
Gli inizi Ho fatto la scuola di aeronautica per far contento papà, intanto lavoravo nel bar sotto casa per guadagnare qualche soldò. Una folgorazione
A Sesto Ho aperto la mia academy ma voglio lavorare anche sul quartiere per insegnare a bere. Una sbronza è come un’abbuffata da un grande chef