La tensione in una stanza
Una crisi di coppia in bilico tra realtà e finzione apre scenari inquietanti
Che percezione abbiamo di noi stessi, quali sono le verità che non vogliamo vedere? Come ci raccontiamo nel privato o sul web? E quanto la nostra narrazione può modificarci la vita? Sul potere del linguaggio in costante sfida tra realtà e immaginazione, al Teatro Elfo Puccini va in scena uno degli autori contemporanei più radicali, il britannico Martin Crimp con «The City» per la regia di Jacopo Gassmann.
Sul palco, una stanza di luce, bianca, abitata da piccole fessure luminose, astratta, sospesa nel tempo come il testo, una favola di oggi che parla di crisi di coppia, di perdita di lavoro e d’identità, ma anche di guerra. Cinque capitoli per altrettanti frammenti di verità o finzione, dove di convenzionale non c’è nulla, né la trama né i personaggi. Uno spettacolo che destabilizza il pubblico e mette a dura prova gli attori, un lavoro importante che ha per protagonista femminile Lucrezia Guidone, attrice teatrale nota al grande pubblico per la serie tv «Mare fuori» e in questi giorni sul grande schermo al fianco di Massimo Popolizio nel film «Eravamo bambini» di Marco Martani. «In scena sono Clair, una traduttrice aspirante scrittrice», afferma, «mio marito è Christopher (Christian La Rosa), un impiegato che rischia di perdere il lavoro e con questo una parte di identità. Siamo una coppia in crisi inconsapevole delle nostre frustrazioni. Tra noi s’insinua, nella realtà o nella fantasia, Mohamed, uno scrittore famoso. Clair racconta l’incontro con quest’uomo alla stazione e di una bambina che è stata rapita o forse solo portata via dalla zia, non si sa… Insomma se vi aspettate una trama lineare avete sbagliato strada, qui non c’è una drammaturgia o un linguaggio tranquillizzante. La percezione del pericolo è costante».
Tra salti nel tempo, giochi prospettici e suoni spiazzanti dove anche le voci del pubblico diventano parte della City, irrompe il tema della guerra, a portarlo in scena Jenny una misteriosa infermiera che bussa alla porta della coppia. Fra i personaggi c’è anche la figlia della coppia, «una bambina inquietante che si rivolge al padre come se fosse la madre, anche il suo monologo è una frattura che crea immagini e ci trasporta altrove, perché su questo palco (e non solo) può accadere di tutto, anche di essere catapultati in un istante dal salotto di casa in un mondo apocalittico. Come dire quando si rompe un equilibrio se ne rompono mille altri di conseguenza. Ma questa è solo una lettura, ogni spettatore vede ciò che vuole vedere, questo testo è un magnifico rebus, o meglio uno spettacolo in 3D».