Faida tra clan, pestaggi e fughe I killer di Jhonny scappati verso Est
Delitto di via Varsavia, la pista della rissa a Torino in cui una donna incinta ha perso il figlio
C’è una pista che attraversa l’interno Nord Italia. Inizia a Torino e arriva al confine con l’ex Jugoslavia. Passando, come raccontano i parenti del morto, per la zona di Bergamo e di Brescia. Una lunga traccia che nasconde il movente dell’esecuzione del 18enne Jhonny Sulejmanovic freddato con tre pallottole calibro 7.65 venerdì notte fuori dall’Ortomercato. In mezzo c’è una faida tra gruppi (e famiglie allargate) di nomadi, video su TikTok e cacce all’uomo.
L’inizio di questa storia — , almeno per quanto è noto, ma potrebbero esserci scintille precedenti —, risale a domenica 7 aprile, al quartiere Barriera di Milano a Torino. Scoppia una rissa tra due famiglie nomadi bosniache: i Sulejmanovic e i Salkanovic. I motivi non sono chiari, forse è colpa di questioni nate al mercato Balon dove tutti si barcamenano rivendendo cianfrusaglie. O forse tutto è legato all’occupazione di un appartamento.
Tra i più caldi c’è un 64enne, parente della vittima. In strada vola di tutto. Alla fine devono arrivare i poliziotti in anti sommossa. Nel parapiglia viene coinvolta una ragazza della famiglia rivale. È incinta, si sente male. Viene portata in ospedale ma perde il bambino. Il giorno dopo i Sulejmanovic prendono armi e bagagli e caricano tutto su un furgone. Lasciano via Cimarosa e puntano su Milano.
Più che una fuga per timore di ritorsioni è una sorta di esilio. Perché la famiglia ha sempre gravitato tra Milano e il capoluogo piemontese. Non è un mistero, quindi, che la carovana con padre, madre, nipoti e mogli si sia piazzata nell’area tra via Varsavia e l’Ortomercato. Anche perché pochi giorni dopo il telefono senza fili della comunità di rom e i video postati su TikTok, indicano Jhonny e i suoi fratelli nei bar di piazzale Cuoco. In mezzo però succede dell’altro. Ed è quello che stanno cercando di ricostruire i poliziotti sezione della
Mobile, diretti da Alfonso Iadevaia e coordinati dal pm Pasquale Addesso.
Nelle prossime ore saranno risentiti i parenti della vittima. Ieri il padre del 18enne s’è presentato all’obitorio per abbracciare il corpo del figlio ma gli è stato impedito in attesa dell’autopsia. Tanto che in questura c’è un po’ di timore per possibili tensioni in vista dei funerali (non ancora fissati). I rom hanno da subito puntato le contro-indagini su un ragazzo che la sera del delitto si presenta con altri due al furgone di Jhonny Sulejmanovic
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per chiedergli di uscire a bere. La vittima rifiuta. Pare che in quel momento esca anche il padre e inizia a discutere con il gruppo. Il «sospettato» è il solo che viene riconosciuto dai parenti, perché ha già frequentato Jhonny. In realtà sembra non c’entri nulla con il delitto.
La storia sembra finire lì, ma gli altri due sconosciuti («gente di Dalmine», dicono i Sulejmanovic) tornano alle tre di notte con altre tre persone. Sfondano i vetri del van con le mazze, poi tirano fuori il 18enne e lo freddano con tre colpi. Altri due li sparano in aria, per allontanare il padre che esce per cercare di difendere il figlio. Poi la fuga su una Seat. Tutto dura 2-3 minuti e la scena (anche se non in modo nitido) viene ripresa per intero dalle telecamere. Gli inquirenti lavorano per dare un nome a tutti i membri del commando. L’idea è che ci sia un legame con la rissa e il procurato aborto di Torino, ma anche altro. Il sospetto è che qualcuno sia subito fuggito verso l’Est Europa. I loro nomi sono noti nell’ambiente. Violenti e con diversi precedenti. «Cowboy», li ha definiti il padre di Jhonny. Pistoleri «fuori di testa», armati e incontrollabili, protagonisti di una storia da Far West.