Trent’anni, sarto, già due negozi: «La gavetta premia sempre»
La nuova bottega in via Massena di Luigi Montanaro. Dall’apprendistato alle griffe
Il ragazzo ha stoffa. Da vendere. Perché fa il sarto, Luigi Montanaro, 30 anni e già titolare di due botteghe dove confeziona abiti su misura. L’ultima l’ha aperta a Milano, in via Massena 4, «incoraggiato e affiancato» dal maestro Guglielmo Rofena (premio Forbici d’oro 1994) che ne ha intravisto le capacità, percepito il desiderio di buttarsi in un mestiere appannaggio dei senior, con i loro saperi mai del tutto tramandati e con la loro clientela altolocata da custodire. Orgoglio e gelosia. «Un ricambio generazionale non c’è stato, forse anche, penso, per la mancanza di vocazioni — riconosce Montanaro —. L’incontro con Rofena è stato provvidenziale: lui stava chiudendo il suo atelier in centro e, con la garanzia di un suo appoggio per l’avviamento, mi sono convinto a compiere il grande passo e a mettermi alla ricerca di nuovi locali». La prima sartoria è a Rovellasca, in provincia di Como: un altro indirizzo «insolito» per chi come Montanaro è originario di Ivrea. «Una famiglia di artigiani, il papà meccanico e il nonno barbiere. Mentre studiavo, ho iniziato a frequentare le botteghe dei sarti torinesi, già tutti anziani, mancava la fascia dei cinquantenni. Ricordo che li osservavo tanto per “rubare” segreti». La svolta professionale arriva quando è appena maggiorenne: «Mi rifornivo in una piccola merceria, un giorno conosco un rappresentante di tessuti. Dopo poco mi chiama: “Luigi, vedi che in piazza San Carlo c’è un sarto che cerca un apprendista”. Assunto. Ci rimango fino a 26 anni, ero in grado di confezionare un abito in autonomia ma mi mancava l’ultimo step per potermi mettere in proprio». E che cosa mancava di preciso? «Alcune tecniche di taglio e lo studio della cosiddetta “prova dell’abito”». Il destino premia la sua intraprendenza ma lo «esilia» in terra lombarda. «Vengo a sapere, eravamo nel 2018, che a Rovellasca c’è un sarto a fine carriera, di nome Sante Roccato, in cerca di qualcuno che possa succedergli. Quando vado a trovarlo, quell’uomo sembra leggermi dentro. “Ti stavo aspettando, ora ti insegno tutto”. Ogni weekend lascio Torino, dove non mi ero ancora licenziato, per il suo laboratorio, e intanto il signor Roccato mi presenta i suoi clienti storici. Nove mesi dopo muore a causa di un tumore». Quindi il bivio: tornare in Piemonte oppure trasferirsi e avviare l’attività? «Apro la partita Iva, rilevo l’atelier investendo i miei risparmi, un salto nel buio» con la luce negli occhi: scommessa vincente.
Oggi Montanaro lavora con tessuti di grandi marchi: per esempio Scabal, Loro Piana, Ermenegildo Zegna, Holland & Sherry. Da plasmare a mano su corpi ogni volta nuovi, unici, in alcuni casi con problematiche e difetti fisici che vanno oltre al «qualche chilo in più».
«Ogni sarto ha però una sua linea, uno stile che non può piacere a tutti. Oggi la mia clientela è composta da imprenditori, avvocati, sposi esigenti e cultori del bello, perché un abito su misura è uno status symbol, un pezzo unico a cui si può fare anche manutenzione». Non mancano le richieste dall’estero — assicura il giovane artigiano — perché il made in Italy resta un traino. Nell’ultimo periodo c’è stato un forte ritorno del doppiopetto». Prezzi? «Essendo da poco a Milano, il mio listino è meno caro rispetto alla concorrenza, e parte da 2.400 euro per giacca e pantalone. Ma la mia bottega sarà aperta anche a chi vorrà imparare qualche segreto». Garantito, al centimetro. È rivoluzione.