Le prigioni dell’anima narrate da Dostoevskij
Il castigo di Raskòlnikov non è il campo di lavoro a cui è condannato per aver commesso un duplice omicidio. Ma il senso di colpa, la desolazione emotiva e l’intimo strazio che lo imbrigliano in un isolamento da cui nessuno può liberare, quello dell’anima. Chiara Bonome segue il tormentato protagonista del capolavoro di Dostoevskij dentro le sue prigioni fisiche, mentali e spirituali nello spettacolo «Delitto e castigo - Gli uomini, sono uomini dovunque», che giovedì al Teatro Vittoria apre la settima edizione della rassegna «Salviamo i talenti - Premio Attilio Corsini». Oltre a «Delitto e castigo» nel testo di Bonome, anche regista della piecè, confluiscono le pagine di un’opera minore dello scrittore russo, «Memorie di una casa morta», in un innesto che punta a ricavare l’idea di carcere come condizione, come parte integrante della storia stessa dell’umanità, con un’operazione di sottile attualizzazione che accende la riflessione sullo stato dei detenuti negli istituti penitenziari odierni. «Scoprire la prigionia di Dostoevskij, per anni ai lavori forzati in Siberia, e apprendere la stretta relazione tra le sue opere e le persone/ personaggi conosciuti durante quell’esperienza - spiega Bonome -, ha consentito l’unione tra il suo grande romanzo e il libro in cui racconta la detenzione, dove la “casa morta” assomiglia alle carceri moderne». Il seme della spietata indagine dostoevskijana nelle tenebre umane, con tutta probabilità, è germogliato proprio nella prigione siberiana, l’autrice va alla ricerca del momento che ha scatenato la sua poetica. Così Dostoevskij diventa un Raskòlnikov che racconta la propria carcerazione, allo stesso tempo origine e prosecuzione di «Delitto e Castigo». Lasciando intendere che la condanna eterna degli uomini è quella inevitabile di restare uomini, come dice il titolo, «dovunque».