Non solo chiese: pagode, moschee e templi in città
In un libro di Carnà e De Florio una «Guida alla riscoperta del sacro»
In via dell’Omo 142, al Prenestino, in mezzo ai grandi magazzini industriali, spicca un capannone trasformato due anni fa in tempio buddista. Si riconosce da lontano non solo per il gigantesco tetto a pagoda, ma anche perché è circondato da un giardino e all’ingresso ha una scalinata affiancata da due leoni stilizzati in pietra bianca.
È la più grande pagoda d’Europa, costruita per il culto dei circa settemila cinesi residenti a Roma e in provincia, in massima parte provenienti da una zona circoscritta dello Zhejiang, Cina meridionale. All’interno, la statua del Buddha grasso e sorridente, simbolo di prosperità; in fondo al corridoio la sala della meditazione; nell’ultima sala la mensa comune intorno alla quale si raccolgono i fedeli dopo le cerimonie rituali celebrate da tre monache del Taiwan. Ma quella di via dell’Omo, ribattezzata dai romani via dell’Omo cinese da quando vi si è stabilita una folta comunità di orientali, non è l’unico luogo di culto dedicato ai buddhisti. Il primo fu inaugurato il 6 novembre 2005 in un garage di via Ferruccio, all’Esquilino.
Un altro sorge a via Mandas, zona Borghesiana, ed è frequentato soprattutto da cingalesi. Altri sono apparsi in via della Balduina, in via di Generosa tra Magliana e Trullo, in via dei Mille accanto alla stazione Termini, in via Euripide tra Acilia e Castel Fusano. Così come l’ormai celebre Grande Moschea di Monte Antenne non è l’unico riferimento per gli immigrati di religione islamica. Di moschee ce ne sono una trentina, disseminate un po’ in tutte le zone della città, da Prati a piazza Vittorio, da Centocelle a Tor Pagnotta, da Monte Sacro a Monte Spaccato, dal Labicano a Furio Camillo, da Tor Vergata all’Aurelio.
Sono elencate in un libro appena pubblicato da Katiuscia Carnà e Angelo De Florio, studiosi di scienze sociali e delle religioni, e con esperienze di volontariato tra i migranti. Si intitola «Roma. Guida alla riscoperta del sacro. Dalla sinagoga di Ostia Antica alle catacombe proto cristiane, alla moschea e alla pagoda più grandi d’Europa (edizioni Edup).
L’intento è di offrire a cittadini e turisti una guida completa ai luoghi di culto multietnici di Roma: per imparare a conoscere i nuovi arrivati attraverso storie, riti, usanze. «Per fare in modo che la cultura dell’altro non diventi motivo di contrasto ma inneschi un processo di arricchimento reciproco», dicono gli autori. Per dimostrare come questo processo sia possibile, ricordano che già in epoca precristiana a Roma si affacciava una società cosmopolita che accanto alle divinità delle arcaiche popolazioni italiche e a quelle dell’Olimpo di derivazione greca, cominciò ad accogliere i culti di Mitra, dei pitagorici, degli ebrei, degli egizi. Perciò la guida include anche gli indirizzi dei siti archeologici con i resti di antiche sinagoghe, mitrei, catacombe. Ed elenca le chiese dei cristiani non cattolici, copti, valdesi, mormoni, pentecostali, ortodossi, metodisti ecc. Chiese mescolate ai templi che celebrano i riti del sufismo e dell’induismo, delle religioni africane e di quelle amerinde, del sikhismo e dello zoroastrismo. Con l’indicazione di autobus per raggiungerli, orari di visite e cerimonie, consigli su come vestirsi e comportarsi.