Moravia, lucente eremita tra libri e quadri di casa (oggi museo)
Basterebbero dunque anche soltanto date e luoghi — per non dire delle migliaia di pagine scritte — a sottolineare quale e quanta Roma ci sia nell’immaginario di colui lo che fu certamente uno dei più autentici interpreti dello spirito della città, già da quel lontano 1929 — data miliare nella storia della letteratura italiana del Novecento — quando il ventiduenne Alberto Pincherle (suo cognome all’anagrafe), benestante figlio di un architetto che aveva progettato mezzo quartiere Pinciano, diede alle stampe il suo romanzo d’esordio, Gli Indifferenti. Oggi si discute ancora (poco, in verità) se il mondo letterario si sia dimenticato in fretta di Moravia («sembra che in Italia se lo siano dimenticato tutti», aveva scritto l’anno scorso il premio Pulitzer Michael Dirda sul «Washington Post» recensendo una nuova edizione di Agostino). Tant’è: tra i pochi a ricordarlo ieri Elisabetta Sgarbi, direttrice editoriale di Bompiani, casa che ha pubblicato le opere di Moravia, o Renzo Paris, poeta e scrittore suo amico: «Un “lucente eremita”, come lo definì Sandro Penna». E d’un eremitaggio in parte trascorso negli ultimi lustri proprio tra le migliaia di libri pigiati nell’appartamento del lungotevere, ora Casa Museo, tra i muri dove troneggiava il severo cipiglio di Alberto ritratto da Guttuso.