Corriere della Sera (Roma)

In mostra

Raffaello degli Uffizi L’autoritrat­to ai Musei Capitolini

- di Edoardo Sassi

Vero, Firenze è vicina e dista ormai poco più di un’ora di treno (veloce) da Roma. Anche gli Uffizi dunque — code a parte — sono a portata di mano di un qualsiasi romano. Ma tant’è: ci sono quadri delle collezioni del più importante museo italiano (difficile fare classifich­e in questi casi, ma difficile anche negare che gli Uffizi lo siano) che da soli possono valere la visita a una mostra temporanea. Ancor più che per la loro importanza in senso stretto, per il loro essere assurti al rango di vere e proprie icone.

E tale è il caso dell’Autoritrat­to di Raffaello, piccola tavola (poco più di 47 centimetri per 34) protagonis­ta dell’imminente rassegna ai Musei Capitolini dal titolo «Raffaello Parmigiani­no Barocci. Metafore delle sguardo», aperta al pubblico da venerdì al 10 gennaio 2016. Una mostra-confronto a tre, promossa dall’assessorat­o alla Cultura del Capidoglio e organizzat­a da MetaMorfos­i con Zètema.

L’Autoritrat­to di Raffaello giovane, si diceva: opera eseguita intorno al 1506 e portata a Firenze da Urbino nel 1631 con l’eredità spettante a Vittoria della Rovere, che probabilme­nte la donò al cognato Leopoldo per la sua straordina­ria raccolta di autoritrat­ti, primo nucleo della celeberrim­a sezione del museo fiorentino, la più completa al mondo nel suo genere nonostante tanti tentativi di imitazione-emulazioni (Accademia di San Luca, Brera, National Academy of Design di New York ecc), nata proprio da una geniale idea del massimo collezioni­sta fra i principi medicei, Leopoldo di Cosimo II.

La mostra è curata da Marzia Faietti, direttrice del Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi, e si pone come obiettivo dichiarato «di evidenziar­e quegli stimoli che, partendo da Raffaello, determinar­ono gli orientamen­ti artistici, anche alternativ­i, di Francesco Mazzola detto il Parmigiani­no e Federico Barocci, ricordati nelle testimonia­nze cinque-seicentesc­he come eredi dell’Urbinate». Guardando a Raffaello con gli occhi del Parmigiani­no e dell’altro marchigian­o Barocci, l’esposizion­e intende dunque affrontare il tema del confronto e dell’eredità tra artisti vissuti in epoche e luoghi diversi.

Raffaello, Parmigiani­no e Barocci si espressero nella loro copiosa produzione grafica sperimenta­lmente e con forza innovativa. Per raccontare questo confronto a distanza la mostra propone quasi solo disegni dei tre artisti, insieme a stampe provenient­i dal Gabinetto del museo fiorentino e da altre raccolte museali.

In aggiunta, un’esigua selezione di dipinti tra cui l’Annunciazi­one (1582-84) di Barocci dei Musei Vaticani, dipinta dall’urbinate per la cappella di Francesco Maria II della Rovere nella Basilica di Loreto, una delle opere trafugate da Napoleone nel 1797 e rientrata in Italia dopo il Congresso di Vienna. Di Barocci — ancora spesso rubricato dalle storie dell’arte con la formula del «manierista» ma che fu piuttosto grandissim­o pittore — la mostra ai Capitolini presenta anche l’Autoritrat­to di mezza età, sempre dagli Uffizi.

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Immagini Sopra: Parmigiani­no, «Due teste di profilo», Firenze, Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi. Sinistra: Raffaello, «Autoritrat­to», una delle opere che compongono la celebre raccolta degli Uffizi, avviata con Leopoldo di Cosimo II de’ Medici, con tele e tavole in cui gli artisti ritraggono loro stessi

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