Corriere della Sera (Roma)

Il mare di bottiglie vuote che inghiotte Pollock

- Paolo Petroni

L’artista come abitante di un altrove, come dissipator­e «che aggiunge e non leva», «si strugge e arde» titanicame­nte come Michelange­lo, solo, fragile e furioso, che non riesce a dar ordine al disordine del mondo e non riesce a colmare la distanza che vive dentro di sé, è quello creato da Giuseppe Manfridi, attore con Nelly Jensen, regista e autore di «Conversazi­one sul luogo dell’incidente (Trasfigura­zione cruenta di Jackson Pollock)» che si replica ai Conciatori sino a domenica. Un bel video introduce agli arzigogoli, schizzi, spruzzi e colature con cui Pollock creava la sua visione del mondo, una sorta di rete, di groviglio di linee e colori e quindi, in questo suo lungo monologo, è come volesse riemergere da lì, per cercare di capire chi è e dove è. Una donna, quasi un alter ego al di là di uno specchio, gli ributta addosso le sue incertezze, le sue domande, non gli permette di sfuggire: «Tu non hai tempo per la realtà, la deleghi», fino alla fine, sino alla resa dei conti e alla rivelazion­e di quanto sia particolar­e e tragica quella serata dell’11 agosto 1956 per tutti e due. Un testo in cui verità e immaginazi­one, mondo interiore e realtà cercano di trovare un punto di contatto, che dovrebbe girare come una spirale che trascina verso il proprio centro, implacabil­e e in discesa, ma non trova, tranne verso la fine, il proprio ritmo, la propria incisività inseguendo il letterario mimetismo verboso e vago della mente obnubilata dall’alcol di Pollock. Alla figura dell’artista Manfridi regala rabbia, disperazio­ne e dolcezza, mentre la Jensen cerca, con amore impietoso, di farlo arrivare a capire come stanno le cose in quella specie di scheletric­o boschetto buio dove sono, quasi isola in un mare di bottiglie vuote, creata da Antonella Rebecchini.

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Palco Nelly Jensen e Giuseppe Manfridi

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