Corriere della Sera (Roma)

Una delibera come quella adottata in Toscana cambierebb­e volto al centro Ristoranti, l’invasione

A Roma uno su cinque è straniero. Senza contare i «fast food»

- Lilli Garrone

Una delibera come quella adottata a Firenze («Per aprire una nuova attività alimentare o di somministr­azione nel centro storico sarà obbligator­io il 70% di prodotti di filiera corta o del territorio») cambierebb­e il volto di Roma. Nella Capitale un ristorante su cinque propone cucina straniera. E nel conto non rientrano i numerosi fast food.

Una delibera come quella adottata a Firenze («Per aprire una nuova attività alimentare o di somministr­azione nel centro storico sarà obbligator­io il 70% di prodotti di filiera corta o del territorio») cambierebb­e il volto di Roma. Nella Capitale un ristorante su cinque propone cucina straniera. E nel conteggio, sempre difficile, non rientrano i numerosi fast food e piccoli esercizi che vendono cibo. Se si rimane alla ristorazio­ne la città offre qualsiasi tipo di cucina, orientale, medioorien­tale, sudamerica­na, messicana o nord europea. Secondo i dati della Cna sono più o meno duemila gli imprendito­ri stranieri legati alla ristorazio­ne che lavorano in città, su un totale di circa diecimila ristoranti. E i primi a colonizzar­e con gusti e sapori ancora quasi sconosciut­i negli anni ‘50 sono stati i cinesi, ancor oggi i più numerosi fra quelli stranieri a Roma. Se ne contano all’incirca centocinqu­anta, dal centro e all’Esquilino, e con una diffusione capillare nei quartieri storici: hanno nomi affascinan­ti e prezzi mediamente economici, eccezion fatta per alcuni di alto livello come, ad esempio, Green Thea a via Piè di Marmo. «Quello che mi auguro - afferma Fabio Spada, presidente della Fipe Confcommer­cio - più che una crescita numerica è una crescita qualitativ­a dei ristoranti etnici o stranieri. Da una parte noi abbiamo una cucina tradiziona­le romana che va preservata al massimo. Dall’altro nelle grandi metropoli ormai il cibo di altri paesi ci deve essere, ma al meglio. E qui si dovrebbe mettere in atto lo stesso processo qualitativ­o che hanno molti ristoranti cinesi a Londra o a New York. Va bene il ristorante straniero ma soprattutt­o se aprono locali di qualità».

Altra ristorazio­ne che ha avuto una crescita esponenzia­le negli ultimi tempi è quella giapponese. Nel centro della città se ne contano una trentina, mentre molti cinesi si stanno trasforman­do in giapponesi proprio perché sushi e sashimi vanno alla grande. Anche take away come è il caso di «Daruma Sushi», nome orientale (un famoso monaco buddista) e titolari italiani: i fratelli Alessio, Daniele e Dennis Tesciuba. Otto punti vendita, sei

Via dei Serpenti ristoranti e due take away, più un grande laboratori­o «Daruma sushi» conosciuto anche per i prezzi accettabil­i. «È vero, anche nell’etnico bisogna cercare la qualità - afferma Alessio Tesciuba - e noi ci riusciamo grazie ai quantitati­vi e promozioni speciali. Siamo partiti nel 2003 con un concept più europeo del classico ristorante giapponese e abbiamo visto crescere l’interesse soprattutt­o fra i giovani, anche 13-14 anni».

Al terzo posto come quantità di locali gli Indiani, anche in questo caso una trentina, per lo più concentrat­i fra Monti e l’Esquilino, con appendici in Prati e in Trastevere, mentre si contano sulle dita di una mano le altre cucine, dall’Araba all’Africana, dalla Coreana alla Thailandes­e, dall’Africana , soprattutt­o Eritrea alla Messicana, alla Libanese. E ci sono perfino un peruviano e un persiano. Ma« la nostra cucina, la romana, abbraccia l’ internazio­nalità del cibo, vengono da tutto il mondo per assaggiare la nostra pasta », afferma a conclusion­e Pietro Lepore, ilp residente dellaFiep et Confeserce­nti.

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