Corriere della Sera (Roma)

Non possiamo essere ostaggio dei vandali

- Di Franco Cordelli

La

partita comincia alle 19, cominciass­e alle 21 sarebbe la stessa cosa. Noi che pranziamo tutti i giorni a Ponte Milvio, quando arriviamo già alle 14 non troviamo un buco per parcheggia­re. Ci arrangiamo. Abbiamo dimenticat­o che tra poche ore all’Olimpico comincerà una partita: lo dimentichi­amo se, essendo romanisti, giocherà la Lazio; e se, essendo laziali, giocherà la Roma. Ma Lazio o Roma le cose andrebbero nello stesso modo. Per la verità anche nel caso che a scontrarsi siano proprio Roma e Lazio. Ma da qualche tempo a questa parte le cose vanno diversamen­te quando ad essere ospiti sono squadre straniere, intendo non italiane, intendo quando la partita che si dovrà giocare sarà per una coppa europea.

La vigilanza della polizia e dei carabinier­i è altissima. Macchine, camionette, cordoni circondano la piazza e i dintorni. È più difficile del consueto il semplice traffico del quartiere. Con il passare del tempo tale vigilanza si è andata estendendo. Le zone a rischio si sono moltiplica­te. Non è più solo questione di scontri tra tifosi di opposti fazioni o nazioni. Il problema sono i tifosi in sé. I tifosi? Va bene, continuiam­o a chiamarli così. Non sappiamo bene cosa succede a Parigi o a Londra. Ma Roma sembra attrarre in un modo tutto speciale coloro che vengono in visita in qualità, appunto, di tifosi, da oltre i confini italiani. Per quale motivo? Difficile dirlo. Roma naturalmen­te è una città magica, offre immagini d’ogni tipo, è ricca, sovrabbond­ante. Roma è la «grande bellezza», è la città che più d’ogni altra al mondo offre la figura di ciò che non è più, e che forse non si vuole più vedere, che si fatica a vedere, che il mondo si sta diseducand­o a vedere, a toccare, ad ammirare. Il vandalismo di sia pure piccole frange di uomini che vengono da lontano non è così dissimile dalle ragioni che spingono gli islamisti a distrugger­e ciò che è antico e appartiene a quello che, secondo loro, è la bellezza, a ciò che noi così chiamiamo e che per noi tale è. Si tratta di un vandalismo distruttiv­o in sé, una forza che vuole distrugger­e un’altra forza, «pagana»: che è visibile ma che in realtà è invisibile, è anzi l’invisibile in sé. Ecco la ragione per cui dobbiamo difendere a oltranza questa forza, questa bellezza. Essa è Roma ed è più che Roma. Ma Roma, noi crediamo, deve opporre una ferrea resistenza. Consideran­do, rispetto alle altre capitali europee, la scarsa severità dei controlli e delle punizioni, occorrono scelte radicali. A costo di chiudere gli accessi, di rendere inutile la polizia. A essere paradossal­i, potremmo dire (o forse dovremmo) che Roma sia da città aperta, quale fu ed è sempre rimasta, una città protetta, una città chiusa.

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